Anche i computer quantistici possono sbagliare. La loro straordinaria capacità di calcolo, di gran lunga superiore rispetto a quella dei computer tradizionali, deriva infatti dalla possibilità per l’unità di base di rappresentare non solo uno 0 o un 1, come accade per i bit dei computer tradizionali, ma anche una loro sovrapposizione, sfruttando i principi della meccanica quantistica. Tuttavia, i qubit sono estremamente fragili e sono soggetti a errori se si trovano ad interagire con l’ambiente esterno.
Per superare questo problema cruciale, un gruppo di ricerca internazionale ha sviluppato ed implementato un protocollo che permette di monitorare, proteggere e correggere l’informazione quantistica nel caso di errori dovuti a perdite di qubit. I risultati dello studio sono stati pubblicati su “Nature”.
“Lo sviluppo di un processore quantistico completamente funzionante costituisce ancora una grande sfida per gli scienziati di tutto il mondo”, spiega Davide Vodola, ricercatore dell’Università di Bologna tra gli autori dello studio. “Con questo lavoro siamo riusciti per la prima volta ad applicare in tempo reale un protocollo di monitoraggio e correzione di errori dovuti a perdite di qubit: un elemento che può rivelarsi fondamentale per il futuro sviluppo di processori quantistici a larga scala”.
Oggi sappiamo che i processori quantistici possono tollerare un certo livello di errori computazionali. Sappiamo però ancora molto poco su come prevenire e correggere gli errori dovuti ad una parziale o totale perdita dei qubit.
Durante la fase di elaborazione delle informazioni possono infatti verificarsi delle vere e proprie perdite di particelle dai registri quantistici. Oppure possono avvenire transizioni verso stati elettronici che non appartengono a quelli scelti per i qubit. In entrambi i casi, si tratta di processi che causano una perdita dell’informazione immagazzinata in precedenza e che possono anche finire per rendere il processore quantistico inutilizzabile. Per questo diventa fondamentale avere a disposizione delle tecniche teoriche e sperimentali che permettano di analizzare e mitigare gli effetti di tali errori.
“Il primo passo per trovare una possibile soluzione a questo problema è stato sviluppare un approccio teorico efficace”, dice Vodola. “Siamo così riusciti a dimostrare che l’informazione contenuta in un registro di alcuni qubit può essere protetta e anche completamente recuperata nel caso in cui uno di questi qubit venga perduto”.
Il passo successivo, a questo punto, era l’applicazione del protocollo all’interno di un reale processore quantistico. Cosa che però non è affatto semplice, dato che nei computer quantistici è impossibile misurare direttamente i qubit per capire quali siano presenti o meno nel processore. Realizzare un’osservazione del genere comporterebbe la distruzione di tutte le informazioni immagazzinate.
La soluzione individuata dai ricercatori è stata allora l’utilizzo di un qubit addizionale che agisce come una sonda in grado di determinare l’assenza o presenza degli altri qubit senza danneggiare il processo di calcolo. Uno stratagemma che ha permesso di confermare anche sul campo l’efficacia del protocollo individuato.
“Abbiamo sperimentato con successo questa soluzione in un reale processore quantistico a ioni intrappolati che si trova all’Università di Innsbruck”, conferma Vodola. “Ma lo stesso processo può essere applicato anche in architetture di qubit differenti, sviluppate da altri centri di ricerca o da aziende private”.
Pubblicato su “Nature” con il titolo “Experimental deterministic correction of qubit loss”, lo studio è stato guidato da un gruppo di ricerca dell’Università di Innsbruck: Rainer Blatt e Thomas Monz, con Roman Stricker, Martin Ringbauer e Philipp Schindler che hanno realizzato l’esperimento. Insieme a loro hanno partecipato Davide Vodola, ricercatore al Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna, e Markus Müller della RWTH Aachen University.