Quando un laser è un vero laser
Uno studio pubblicato sull’ultimo numero di Nature Communications ha portato un importante contributo nel definire una della proprietà salienti di un laser a elettroni liberi come quello in funzione a Trieste, FERMI. Un gruppo di ricercatori dell’elettrosincrotrone tedesco DESY e del National Research Nuclear University di Mosca, guidato da Ivan Vartaniants, ha eseguito un esperimento sulla sorgente laser a elettroni liberi triestina, attiva nell’Area Science Park, mettendone in evidenza le caratteristiche pressoché uniche rispetto a infrastrutture simili esistenti negli Stati-Uniti, in Giappone in Germania, Svizzera e Cina.
I laser sono fonti di luce intensa e coerente e i sistemi più complessi sono probabilmente costituiti dai cosiddetti Free Electron Laser come FERMI, in grado di emettere luce intensa a lunghezze d’onda molto più corte della luce visibile, dall’ultravioletto da vuoto fino ai raggi X. “Una proprietà essenziale dei laser è la coerenza, ovvero la possibilità di prevedere le proprietà della luce in un punto o a un dato istante, una volta che queste siano note in un altro – spiega Luca Giannessi, responsabile della fisica di macchina di FERMI. La coerenza del primo ordine è un effetto che si manifesta, ad esempio, nei fenomeni di diffrazione, risultato della correlazione tra le ampiezze di un’onda in diversi punti dello spazio o del tempo. Tuttavia, un alto grado di coerenza del primo ordine non è sufficiente per definire un laser. Il premio Nobel Roy Glauber, affermò che un laser può essere definito come una fonte coerente, se è coerente anche agli ordini superiori, ovvero se la correlazione vale anche tra le intensità in diversi punti nel tempo e nello spazio. Per misurare queste correlazioni si osserva la statistica di emissione dei fotoni”.
Il lavoro di Glauber fu ispirato dall’esperimento Hanbury Brown e Twiss, in cui le coincidenze di fotoni (cioè le correlazioni) furono misurate con fotoni provenienti da una stella lontana. Variando la distanza tra due rilevatori, Hanbury Brown e Twiss determinarono il grado di coerenza della luce proveniente dalla stella e ricavarono altre importanti informazioni sulla sorgente. Questo esperimento è la chiave per misurare la coerenza del secondo ordine di una fonte di luce: l’intensità della luce in punti diversi viene misurata in coincidenza e analizzata statisticamente. L’esperimento è considerato da molti come l’inizio dell’intero campo dell’ottica quantistica.
Tali misure sono state effettuate anche sui laser a elettroni liberi di alta energia basati sul processo di emissione stimolata auto-amplificata, dimostrando che queste sorgenti sono coerenti al primo ordine, ma non sono coerenti agli ordini superiori. Le misure di FERMI* hanno invece dimostrato che la natura della luce prodotta dal FEL triestino è effettivamente diversa: non è solo coerente al primo ordine, ma anche coerente al secondo ordine, soddisfacendo così la definizione di Glauber. Alcuni esperimenti di ottica quantistica richiedono proprio la coerenza di ordine elevato, ovvero necessitano della luce con le caratteristiche di ordine e prevedibilità tipiche di un laser quantistico. Per tale tipologia di esperimenti FERMI rappresenta quindi al momento l’infrastruttura di elezione a livello mondiale.
FERMI è basato sull’amplificazione di un seme esterno. Questo seme può essere immaginato come la nota di uno strumento musicale inviata in ingresso al nostro amplificatore che la riproduce fedelmente. Il seme utilizzato è prodotto da un laser a stato solido che ha quindi le caratteristiche di coerenza agli ordini superiori di un laser quantistico. L’esperimento svolto dal team guidato da Ivan Vartaniants di tipo Hanbury Brown e Twiss ha dimostrato che lo schema di FERMI basato sull’amplificazione e conversione in frequenza di un seme, permette di conservarne le proprietà, incluse le proprietà di coerenza agli ordini superiori. L’articolo sull’esperimento è stato pubblicato con il titolo “Seeded X-ray free-electron laser generating radiation with laser statistical properties” su Nature Communications del 29 ottobre 2018.