Dopo due anni eccezionali l’economia italiana, secondo le stime dell’Ufficio Studi Confcommercio, è entrata in una fase di rallentamento, con una variazione percentuale del PIL nulla o quasi nel secondo trimestre dell’anno in corso. Un rallentamento distribuito tra tutte le componenti della domanda, a partire dai consumi, compressi dalle dinamiche inflazionistiche e dall’aumento delle spese obbligate sui bilanci familiari, cresciute quasi esclusivamente per la componente energetica. Infatti, dopo il livello record del 42,7% toccato l’anno scorso, nel 2023 la quota di spese obbligate sul totale dei consumi delle famiglie rimane elevata, con un incremento dell’incidenza di quasi 5 punti dal 1995 ad oggi, e non sembra destinata a tornare sotto il 40%; su un totale di oltre 21mila euro pro capite di consumi all’anno, per le spese obbligate se ne vanno 8.755 euro; tra queste spese, la quota principale è rappresentata dalla voce abitazione al cui interno un peso rilevante viene dall’aggregato energia, gas e carburanti con 1.976 euro, valore che, nella media del 2023, raggiunge un’incidenza sul totale consumi del 9,4%; ad amplificare la dimensione delle spese obbligate è la componente prezzi: tra il 1995 e il 2023, infatti, mentre il prezzo medio dei beni commercializzabili è cresciuto di quasi il 53%, il prezzo delle spese obbligate è aumentato del 120% con la componente energia aumentata addirittura di quasi il 175%. È evidente, dunque, che queste tendenze riducono il benessere e dei consumatori e frenano la propensione al consumo con inevitabili effetti depressivi sulle già deboli dinamiche del Pil. Questi, in sintesi, i principali risultati che emergono da un’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio sulle spese obbligate delle famiglie italiane tra il 1995 e il 2023.
Si può ammettere che nel lungo periodo l’attenzione all’ambiente domestico sia cresciuta e così le spese relative all’abitazione, compresa la diffusione di impianti di condizionamento e riscaldamento, e quindi dei relativi consumi energetici, a quasi tutte le famiglie e in quasi tutti i territori del Paese. Tuttavia, dopo lo shock energetico, la quota di spese obbligate nel complesso non sembra riportarsi ai livelli del 2019. Il 41,5% stimato per l’anno in corso potrebbe indicare che, in termini strutturali, difficilmente si ritornerebbe sotto il 40% per le spese obbligate. Per definizione, questa tendenza ridurrebbe il benessere e la libertà dei consumatori, disincentivando la crescita della propensione al consumo e, quindi, ai consumi, e, infine, ciò avrebbe effetti depressivi sulle dinamiche già stentate del prodotto lordo.
Inoltre, il punto percentuale conquistato dalle spese obbligate rispetto al 2019, in un contesto di consumi solo debolmente crescenti in termini reali, costituirebbe un limite all’espansione dell’attività delle imprese dei beni e dei servizi commercializzabili. Questi ultimi, a cominciare dall’ampio aggregato dei consumi turistici e culturali, potrebbero svilupparsi solo in ragione dell’apporto della componente straniera.
Questo fenomeno è trainato dai prezzi della componente energetica, come si evince dal confronto tra consumi in volume, cioè a prezzi costanti, decrescenti per energia, gas e carburanti, rispetto a un’espansione straordinaria della quota relativa che passa dal 7,2% del 2019 al 10,2% del 2022 per scendere al 9,4% nel 2023. Se può essere scontato il balzo del 2022, dati gli eventi occorsi, è, invece preoccupante che nell’anno in corso i prezzi dell’energia per le famiglie siano comunque ancora molto al di sopra dei livelli pre-pandemici. L’impatto della forte dipendenza energetica del paese e del mix sbilanciato sull’approvvigionamento di gas si vede dalle quote di spesa per questa componente nel lungo termine. È ben vero che tra il 2007 e il 2019 la quota di spesa per energia, gas e carburanti è scesa, giovandosi di prezzi stazionari o decrescenti, ma è altrettanto evidente lo shock dovuto alla crisi energetica e la difficoltà nel rientrare su un mix prezzi-consumi adeguato a restituire spazio ai consumi liberi e, quindi, ripristinare vitali opzioni di scelta alle famiglie italiane.
Nel 2023 si stima che rispetto ai livelli del 1995, 28 anni fa, il deflatore dei consumi sul territorio sia cresciuto dell’80%, il prezzo dei beni commercializzabili è avanzato poco meno del 53%, quello dei servizi offerti in regimi concorrenziali del 73,5%; le spese obbligate, che evidentemente sono, almeno in parte, confinate in un’offerta non del tutto concorrenziale, mostrano un prezzo in crescita del 120%, all’interno delle quali il prezzo della componente energetica cresce di quasi il 175%.
Se invece delle variazioni cumulate si considerano le variazioni medie annue calcolando i tassi composti, emerge che i beni commercializzabili hanno avuto prezzi crescenti attorno all’1,5% l’anno nei 28 anni considerati. I prezzi dei servizi commercializzabili crescono al 2% scarso in media d’anno, i consumi totali al 2,1% e le spese obbligate al 2,9%, dentro le quali i costi per le famiglie dei consumi energetici sono cresciuti mediamente del 3,7% l’anno. Dunque, si può concludere che la parte effettivamente libera della nostra economia è già, da tanto tempo, perfettamente coerente con i target della politica monetaria.