A circa un mese dall’inizio del lockdown del Paese causato dal dilagare di un’emergenza sanitaria senza precedenti nella storia recente e che ha imposto alle aziende di riorganizzarsi per garantire l’operatività e la sicurezza delle persone, InfoJobs presenta i risultati di un’indagine che mette per la prima volta a confronto aziende e lavoratori sul tema smart working, al fine di capire come gli italiani stiano vivendo l’approccio al lavoro agile e quale possa essere la sua futura applicazione sul mercato del lavoro di domani.
I dati emersi rispecchiano un Paese che ha risposto all’emergenza utilizzando in maniera massiccia lo smart working: il 72% delle aziende ha messo a disposizione in tempi brevi mezzi e strumenti per permettere ai collaboratori di proseguire il lavoro da remoto. Tuttavia, è chiaro che non tutte le tipologie di business o non tutte le funzioni possono essere svolte in smart working, dai dati di InfoJobs risulta quindi che i lavoratori italiani in smart working siano il 15%. La parte restante della forza lavoro sembra attualmente a casa senza reddito, in ferie o in congedo mentre il 13% si reca ancora sul luogo di lavoro, senza nessuna modifica alle modalità di prestazione del servizio.
Filippo Saini, Head of Job di InfoJobs afferma: “Con la nostra nuova indagine vogliamo raccontare come il Paese stia affrontando il lavoro in questo momento complesso, mettendo a confronto il punto di vista dei lavoratori e quello delle aziende. Lo smart working è stato ben accolto in generale, come strumento per garantire operatività e reddito preservando salute e sicurezza, e la sua adozione ha subito una crescita esponenziale: per gran parte delle nostre aziende e lavoratori questa emergenza è stata l’occasione per attivare il lavoro da remoto per la prima volta in assoluto”.
Ad oggi, il 56% delle aziende che hanno attivato lo smart working dichiara di applicarlo per la prima volta, mentre il 29% l’ha esteso a più figure o su più giorni. Percentuali ancora più polarizzate sui lavoratori, dove il 79% afferma di adottarlo per la prima volta, mentre per il 14,5% sono solo cambiate le modalità di fruizione e per il 6,5% non c’è stato alcun cambiamento rispetto a prima.
Il 64,5% delle aziende dichiara che i dipendenti hanno apprezzato questa decisione che non ha avuto contraccolpi sulla produttività, o ne ha avuti ma in maniera limitata. Le difficoltà comunque non mancano e il 19% delle aziende sostiene che lo smart working non stia funzionando, complici la struttura o il business che mal si sposano con il lavoro da remoto. In linea più generale, le maggiori criticità sono legate soprattutto a problemi di tipo organizzativo per mancanza di supervisione e controllo sul lavoro del personale, e relazionale perché manca il confronto quotidiano e il lavorare fianco a fianco. Solo il 14% delle aziende dichiara problemi legati alla tecnologia, rilevante soprattutto per quelle aziende che hanno risposto all’emergenza ma non erano preparate a gestirla a livello di strumenti e competenze interne.
Il 38% del campione intervistato da InfoJobs si dichiara fortunato di poter evitare gli spostamenti in questo momento, mentre il 27% apprezza le possibilità date dalla tecnologia, che mette a disposizione un ufficio “virtuale” dove è possibile continuare a lavorare come prima. Solo il 7% dice di essere meno produttivo soprattutto a causa degli impegni familiari da gestire in contemporanea, percentuale che sale al 33% per le donne con figli conviventi.
Il 17% dei lavoratori apprezza la possibilità di gestire insieme esigenze personali e lavorative, con una percentuale che sale al 30% per le donne con figli. Gli italiani che si sono inoltre trovati a dover far fronte alla creazione di spazi di lavoro fra le mura domestiche, notano con piacere il tempo risparmiato per gli spostamenti da casa all’ufficio e gli orari flessibili. E che dire delle distrazioni fra le postazioni di lavoro? Un pensiero in meno nel caso dell’home office per l’11% dei lavoratori!
L’azienda non è però solo un luogo di prestazione d’opera, ma anche un mondo in cui si intessono relazioni o dove semplicemente ci si confronta. Ecco allora che sono diversi anche gli aspetti di cui si sente la mancanza in questa nuova gestione della routine lavorativa, in primis la socialità del luogo di lavoro e il confronto quotidiano con i colleghi. Seguono sorprendentemente aspetti all’apparenza secondari, come la comodità della propria postazione o il piacere di prepararsi alla giornata con outfit e make-up.
“Su ciò che avverrà una volta superata l’emergenza sanitaria, le aziende sono caute a parlare di rivoluzione”, chiude Filippo Saini. “Anche i lavoratori sembrano apprezzare le potenzialità del lavoro da remoto, ma sono ben lontani dall’augurarsi che possa essere la modalità esclusiva e prioritaria di domani. In generale, dalla nostra indagine emerge un’Italia molto pragmatica e realista, che distingue le misure eccezionali dai propri desideri e dalla speranza per la nuova normalità di domani”
Nel dettaglio, per il 30% delle aziende non ci saranno cambiamenti delle modalità di lavoro rispetto al business pre-COVID-19, mentre il 28% dovrà valutare gli sviluppi legislativi per implementare a regime lo smart working e il 24% lo abiliterà ma solo per una parte dei dipendenti.
Concordi su un approccio prudente anche i lavoratori, il 71% vorrebbe il lavoro agile 1 o 2 giorni a settimana mentre solo il 16% auspica un full time smart. Dissente il 13%: meglio l’ufficio.