Risolvere l’enigma dei blazar con la nuova fisica
Molti dei fenomeni che osserviamo nel nostro universo ancora non hanno una spiegazione, e talvolta per formulare possibili soluzioni a questi enigmi è necessario uscire dalla solidità delle attuali teorie standard esplorando scenari di Nuova Fisica. Così un gruppo di ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, per risolvere un’anomalia osservativa di alcuni blazar, ha proposto una soluzione che coinvolge ipotetiche particelle, predette da varie teorie, possibili candidate a comporre la materia oscura: le cosiddette Alp, Axion-Like Particle, particelle neutre leggerissime che si accoppiano ai fotoni di luce. Tra i firmatari dell’articolo, vi è anche Giovanni Bignami, astrofisico di fama internazionale, scomparso nel 2017, che ha dato il suo ultimo contributo scientifico proprio nello studio pubblicato su “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society”.
I blazar tipicamente emettono fotoni gamma di elevatissima energia, dell’ordine del teraelettronvolt, cioè mille miliardi di volte maggiore di quella dei fotoni visibili. La radiazione elettromagnetica emessa dai blazar è caratterizzata dallo spettro che quantifica come varia il numero di fotoni al variare dell’energia, ed è un po’ l’impronta digitale che permette di distinguerli da altre sorgenti. Nel lungo viaggio per giungere alla Terra, i fotoni emessi dai blazar però si imbattono, o meglio si scontrano, con altri fotoni che costituiscono la luce di fondo extragalattica, trasformandosi in altre particelle e restituendoci così uno spettro molto diverso da quello emesso. «Abbiamo considerato un campione omogeneo di 39 blazar a distanze molto diverse e abbiamo ottenuto gli spettri emessi “deassorbendo” quelli osservati», spiega Giorgio Galanti, ricercatore dell’Inaf di Milano. «In prima approssimazione, tutti gli spettri emessi risultano avere lo stesso andamento qualitativo: sono rette variamente inclinate e decrescenti. Quindi ogni spettro emesso è caratterizzato dalla sua pendenza. Confrontando però gli spettri emessi con quelli osservati ci siamo resi conto che sembrerebbe esistere una correlazione fra i blazar e la loro distanza, fatto che ci ha stupiti, perché – riuscendo a escludere effetti di selezione – non c’è nessun meccanismo fisico noto in grado di spiegarla, insomma, sembra che qualcosa non funzioni nel contesto standard».
«Per riuscire a superare l’inaspettata correlazione tra gli spettri emessi e la distanza dei blazar, abbiamo provato a esplorare uno scenario non convenzionale, scegliendo quello in cui sono presenti le Alp», spiega Marco Roncadelli, ricercatore dell’Infn di Pavia e dell’Inaf di Milano. «In questo modo la propagazione dei fotoni nello spazio cosmico viene alterata: in presenza di un campo magnetico – in questo caso quello extragalattico – i fotoni talvolta si comporterebbero come “veri” fotoni, e talvolta come Alp. In altre parole, saremmo in presenza di oscillazioni fotoni-Alp, simili alle oscillazioni dei neutrini da un tipo a un altro».
Secondo questa ipotesi, quindi, un fascio di fotoni gamma emesso da un blazar che giunge a noi subisce un gran numero di oscillazioni. Il punto cruciale è che quando i fotoni sono “veri” fotoni vengono parzialmente assorbiti dalla luce di fondo extragalattica, mentre quando sono Alp ciò non avviene. Ma allora l’assorbimento totale dei fotoni risulta notevolmente inferiore rispetto al caso standard e l’universo diventa più trasparente ai raggi gamma. «Con questo assunto, l’iniziale correlazione fra gli spettri emessi dei blazar e la loro distanza sparisce e riporta l’unica possibile soluzione in accordo con l’intuizione fisica», conclude Roncadelli.
Tuttavia, l’introduzione delle Alp, se da una parte sembra risolvere in modo elegante e tutto sommato intuitivo il paradosso dei blazar, aprendo le suggestive porte di una nuova fisica, dall’altra solleva una domanda altrettanto fondamentale: se e come sia possibile identificare queste particelle, finora solo teorizzate. «La speranza c’è, e potrebbe concretizzarsi nel giro di pochi anni, addirittura in due modi totalmente diversi», afferma Alessandro De Angelis, professore all’Università di Padova e ricercatore dell’Infn e dell’Inaf. «Uno è basato sulla possibile evidenza indiretta, utilizzando i rivelatori di raggi gamma di nuova generazione che arrivano fino all’energia del TeV, come il Southern Wide-field Gamma-ray Observatory e il Cherenkov Telescope Array, gestito da una collaborazione internazionale in cui è fortemente coinvolta l’Italia con gruppi dell’Infn e dell’Inaf. Un ruolo strategico sarà giocato anche in Cta dai piccoli telescopi – più sensibili alle altissime energie – del tipo Astri, il cui prototipo è stato realizzato in Italia su proposta proprio di Giovanni Bignami. Invece, l’evidenza diretta può provenire solo da esperimenti di laboratorio, uno dei quali è in corso a Desy, ad Amburgo, ma per raggiungere i valori dei parametri del nostro modello è necessario un potenziamento che sarà effettuato fra qualche anno».