Presentata l’anteprima digitale del “Rapporto Coop 2023 – Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop con la collaborazione scientifica di Nomisma, il supporto d’analisi di NielsenIQ e i contributi originali di Circana, GS1-Osservatorio Immagino, CSO Servizi, GfK, Mediobanca Ufficio Studi. Inoltre, da quest’anno il Rapporto per alcune sue parti si è avvalso dell’ausilio dei nuovi programmi di intelligenza artificiale generativa, tra cui Chat Gpt, Bard e Midjourney. L’edizione 2023 è tutta orientata a leggere, con gli occhi degli italiani, l’eccezionale complessità del mondo che ci circonda e a comprenderne gli effetti sulla loro vita quotidiana, a partire dal loro rapporto con il cibo. Per fare questo, oltre ai tanti contenuti originali offerti dai contributors del Rapporto, anche questa edizione si è avvalsa di due diverse survey condotte entrambe nella seconda parte dello scorso mese di agosto. La prima ha coinvolto un campione di 1.000 italiani rappresentativo della popolazione over 18. La seconda si è rivolta ad un panel della community del sito di italiani.coop e ha coinvolto 680 opinion leader e market maker fruitori delle passate edizioni del Rapporto. Tra questi sono stati selezionati 450 ruoli apicali in grado di anticipare più di altri le tendenze future del Paese.
Guerra e cambiamenti geopolitici, climate change e migrazioni, e ancora, intelligenza artificiale e mercato del lavoro, naturalmente inflazione e possibile crisi economica. Non sono mai stati così tanti i futuri possibili e di conseguenza gli scenari che diventano molteplici, certo incerti, spesso cupi e pericolosi. Così, i venti di guerra riarmano le potenze a fronte di un desiderio di pace che si acuisce mentre le trasformazioni in corso nello scacchiere internazionale modificano assetti che sembravano scontati. Cina e Germania assomigliano sempre più a giganti feriti e sono osservati speciali per la possibilità che dalle loro crisi interne possano derivare contagi, un nuovo europeismo si fa strada generato dal fronte comune nel conflitto russo-ucraino, anche se è un’Europa provata dalla denatalità e dall’invecchiamento in contrapposizione all’esuberanza demografica dell’Africa. Inoltre, l’irrompere dell’intelligenza artificiale se da un lato promette di risolvere molti dei problemi del mondo dall’altro alimenta altrettante paure ed incognite. Mentre il riscaldamento climatico benché sia diventato dramma quotidiano non genera un impegno globale finalmente concreto.
In questa moltitudine di mondi possibili tanti sono anche i possibili punti di svolta. Le elezioni americane ed europee del 2024, naturalmente l’auspicata possibile conclusione della guerra o, al contrario, l’estensione del conflitto o l’avvio di nuove contrapposizioni, il rinfocolarsi della pandemia, l’individuazione di nuove cure grazie all’IA, e, sul fronte economico, la revisione delle regole europee, la concreta attuazione del Next Gen Eu, a partire dal Pnrr.
In alcuni casi però il mondo ha già imboccato strade senza ritorno. È proprio il caso del climate change: una catastrofe annunciata che ha fatto registrare solo nel corso del 2022 2300 eventi estremi, e coloro che negano il riscaldamento climatico o pensano sia un’esagerazione o che abbia cause indipendenti dall’attività antropica. Anche tra quanti lo riconoscono, il 14% degli italiani pensa comunque non ci sia più nulla da fare. Peraltro, per gli italiani i responsabili di questa situazione sono soprattutto le imprese, l’Asia e il Nord America, le classi più agiate. Sempre alle imprese, alle istituzioni nazionali e internazionali ma anche ai cittadini spetta porvi rimedio.
Anche l’Italia, nel contesto generale, è un caleidoscopio di alternative possibili e possibili punti di svolta. Oramai esaurita l’esuberante crescita postpandemica del 2021 e del 2022, l’economia italiana perde la spinta dei consumi che hanno sostenuto il Pil nella prima parte dell’anno. Nei prossimi mesi le intenzioni di spesa degli italiani fanno segnare una brusca inversione di rotta e anche i segnali che arrivano dallo scenario internazionale, dalla produzione industriale e dal mercato del lavoro fanno prevedere un Pil 2023 solo marginalmente positivo. Una debole intonazione positiva che si potrà protrarre anche nel 2024 solo a patto di una manovra di bilancio equilibrata e soprattutto di compiuto utilizzo dei fondi Pnrr: la più grande iniezione di risorse nella nostra economia dagli anni Ottanta tale da impattare sul Pil per oltre 3 punti percentuali da qui al 2026.
Le prospettive sono poi appesantite dall’eccezionale crescita dell’inflazione che solo negli ultimi 2 anni ha abbattuto il potere d’acquisto in una misura pari a 6.700 euro procapite e, secondo l’80% dei manager intervistati, bisognerà aspettare almeno il 2025 prima che la crescita dei prezzi torni ai livelli pre-pandemici.
A fronte di questo drammatico impoverimento, la dinamica delle retribuzioni resta ampiamente insufficiente e dunque il lavoro, che sinora sembra esserci, è un lavoro che non paga quanto dovrebbe. Da qui la tendenza ad aggiungere lavoro al lavoro come strategia di difesa dal carovita: il 27% degli occupati intende aumentare il numero di ore lavorate, fare lavoretti aggiuntivi, far iniziare a lavorare persone della famiglia che prima non lavoravano. Ma anche, a dispetto di questo impegno ulteriore, l’impatto devastante dei prezzi trascina quasi la metà degli italiani in una condizione di disagio duraturo, avendo dovuto rinunciare allo standard di vita per loro minimo accettabile almeno in un ambito. Il 10% degli italiani dichiara di non arrivare a fine mese e un ulteriore il 23% ci arriva ma teme costantemente di non farcela. Anche se in un qualche modo si sbarca il lunario si fanno grandi rinunce o comunque dei sacrifici. Infatti, solo un italiano su quattro dichiara di fare senza problemi la vita di qualche anno fa. Il disagio affonda nella carne viva della classe media. Tra le famiglie della middle class, meno della metà riuscirebbe a fare fronte senza difficoltà ad una spesa imprevista di 800 euro e solo un terzo ad una di 2.000 euro. E tra quanti pagano più degli altri la difficile condizione sociale dell’Italia di oggi certamente i giovani. La generazione Z vive in una sorta di apartheid in termini retributivi; il dislivello generazionale fra loro e i baby boomers è impietoso e a fronte di una retribuzione media i primi scendono di un buon 23% mentre i secondi salgono di oltre un 17%. In sostanza, a parità di inquadramento, un giovane italiano guadagna quasi la metà di un over 50. Non stupisce allora se il 40% di loro si immagina di vivere altrove da qui a 2/3 anni e il 20% sta già progettando di farlo.
Eppure tra molteplici difficoltà gli italiani sono ammirevoli per la tempra emotiva che continuano a manifestare e la sorprendente assenza, almeno sino a qui, di sentimenti di rabbia o rancore sociale. La fotografia scattata dal Rapporto Coop 2023 è quella di un Paese certamente inquieto e dove crescono i timori, ma che complessivamente vede rafforzarsi i sentimenti di fiducia, serenità, accettazione e aspettativa positiva. Un ostinato, pacato, ottimismo che costituisce certamente uno dei grandi punti di forza del sistema Paese ma che al contempo pone interrogativi circa la sua sostenibilità futura e la possibilità che in realtà si stiano incubando reazioni al momento sopite. Gli stessi comportamenti disfunzionali e le dipendenze, eredità della pandemia, che nel 2022 manifestavano livelli di gran lunga più elevati rispetto al periodo prepandemico nel 2023, almeno nelle dichiarazioni degli italiani, tornano a ridursi. Eppure, a dispetto di tanta razionalità il privato degli italiani evidenzia tutta la fatica quotidiana per tenere assieme i pezzi della loro vita. Non sorprende costatare come 1 italiano su 3 dichiari anche sporadicamente di aver fatto uso di psicofarmaci e 1 su 5 ne faccia un uso più o meno abituale. 2 su 3 coloro che sono impegnati a praticare tecniche per la gestione dello stress. E i farmaci per l’ipertensione, per la gastrite e lo stress svettano in cima alla classifica dei medicinali più venduti.
Sereni e consapevoli ma certamente più poveri, gli italiani di fatto non possono che convivere con una economia familiare sempre più ristretta e che non lascia spazio al futuro e obbliga a moltiplicare le rinunce quotidiane. Calano le compravendite immobiliari, si riducono gli acquisti delle auto nuove, cadono gli acquisti dei beni tecnologici. In particolare, le vendite di smartphone nuovi si riducono in quantità del 10% negli ultimi 12 mesi. In uno sforzo di sopravvivenza l’usato o il ricondizionato sostituiscono il nuovo. E, dopo aver riguadagnato nel primo semestre i livelli prepandemici, gli italiani si sono ancora concessi pranzi e cene con estrema oculatezza durante l’estate, ma, passeranno nuovamente l’autunno in casa.
Se l’Italia è il Paese del buon cibo che tutto il mondo ci invidia e l’alimentazione è una componente fondamentale dell’identità del Paese, tanto che gli italiani sono disposti a tutto pur di non rinunciare alla qualità di quello che mangiano, è anche vero che molti di loro sembrano in procinto di arrendersi alla guerra contro un’inflazione che ha rincarato di oltre il 21% il costo dei beni alimentari e che non promette di arrestarsi prima dei prossimi due anni. I carrelli degli italiani diventano leggerissimi. -3% la variazione delle vendite a prezzi costanti nei primi 7 mesi dell’anno e in previsione 2024 su 2023 il 60% dei manager intervistati si aspetta un risultato in ulteriore seppur modesto calo. Dopo la riduzione delle quantità acquistate, con l’arrivo dell’autunno gli italiani sembrano pronti a cambiare nuovamente strategia grazie ad un quotidiano impegno per contenere gli sprechi, alla rinuncia ai prodotti non strettamente necessari e a quelli a maggiore contenuto di servizio. Così la spesa diventa più frequente, l’attenzione al risparmio fa piazza pulita della fedeltà al canale di acquisto, discount e Mdd sembrano ancore di salvezza; otto italiani su 10 indicano nel primo il modo per mitigare l’effetto dell’inflazione, altrettanti acquisteranno più marca del distributore a discapito della marca industriale. In questo contesto, se è sempre più articolata l’identità alimentare della parte economicamente e culturalmente più attrezzata del Paese, nell’ultimo anno sono raddoppiati quanti dichiarano di aver perso ogni riferimento identitario abbandonando anche i dettami della cultura tradizionale, delle tipicità e del territorio. Una deriva che potrà continuare nei prossimi mesi e metterà in discussione il concetto di alimentazione italiana e dieta mediterranea, a partire dal consumo di frutta e verdura.
Ciò peraltro non significa che non si facciano strada, magari ancora in fasce minoritarie della popolazione, nuove tendenze a tavola. E a fronte del plant-based le cui vendite fanno registrare un +9% anno su anno, appare con evidenza la già avvenuta demonizzazione degli zuccheri e i segnali in prospettiva parlano chiaro: 15% la percentuale che nei prossimi 12/18 mesi farà uso di prodotti senza o con poco zucchero. Il fitness poi arriva nel piatto e si conferma la predilezione per le proteine e per l’healthy, oltre alla volontà di contribuire con la propria dieta al miglioramento delle sorti del pianeta. Già oggi, 5,1 milioni di italiani dichiarano di alimentarsi a spreco zero, 2,8 si definiscono reducetariani e 1,4 sono i cosiddetti climatariani. A farne le spese è soprattutto la carne, il 39% del campione dichiara di essere disposto a ridurne il consumo. D’altronde sulla tavola di un futuro nemmeno troppo lontano, della carne rimarrà solo il sapore: nella top 5 dei nuovi cibi che secondo gli italiani compariranno in tavola nei prossimi 10 anni figurano i prodotti a base vegetale con il sapore di carne e la carne sintetica prodotta in laboratorio.
L’eccezionale crescita dei prezzi degli ultimi due anni ha cambiato in profondità anche gli assetti della filiera alimentare. Nel 2022 l’incremento dei prezzi delle materie prime e l’impennata dei costi energetici hanno fatto esplodere i prezzi alla produzione, mentre le difficoltà della domanda finale hanno obbligato i retailer a contenere l’impatto finale sui prezzi al consumo. Con ricadute pesanti sui bilanci di entrambi gli operatori della filiera. L’analisi annuale di Mediobanca evidenzia come nel 2022, per entrambi gli attori della filiera, si sia verificata una significativa diminuzione del valore aggiunto e, a cascata, della marginalità operativa. Un impatto negativo che non cambia però il differenziale positivo delle performance a favore degli operatori industriali. In sostanza, le imprese dell’industria alimentare evidenziano una redditività strutturalmente superiore a quella della grande distribuzione alimentare. E anche nel difficile frangente del 2022 la redditività dei mezzi propri dell’industria fa segnare una diminuzione meno pronunciata di quella della distribuzione. Nel 2023 invece, pur a fronte di un rapido rientro sui valori storici dei costi delle commodities alimentari e di un altrettanto noto rientro dei costi energetici, non si è manifestata alcuna significativa riduzione dei listini dell’industria alimentare. Anzi, si è assistito ad ulteriori aumenti dei listini, addirittura superiori a quelli del 2022 e nello stesso periodo l’ulteriore logoramento del potere d’acquisto delle famiglie ha nuovamente impedito invece agli operatori della distribuzione di poter riversare al consumo l’intero incremento. In questo modo, la comparazione tra l’andamento dei prezzi industriali e quelli al consumo continua ad evidenziare un differenziale negativo che non ha eguali negli ultimi decenni. In sostanza, per la distribuzione i prezzi all’acquisto restano strutturalmente superiori a quelli praticati alla vendita. Anche nei prossimi anni divergeranno le strategie di industria e distribuzione. I retailer si concentreranno sulla marca privata per avere un governo delle filiere produttive e dei prezzi alla vendita, mentre la grande industria al momento sembra più orientata a difendere i margini concentrandosi sull’innovazione di prodotto e la difesa dell’equity del proprio marchio.
“Siamo di fronte a un momento davvero complesso che il Rapporto Coop rappresenta nelle sue varie articolazioni e che si ripercuote con estrema coerenza sul mercato del largo consumo; sensibile termometro della quotidianità. In sintesi, il primo giro di vite sui consumi già partito prima dell’estate sembra ulteriormente inasprirsi e si ripercuote sui volumi delle vendite – è il commento di Maura Latini, Presidente Coop Italia – Fare il mestiere che è proprio di un insieme di cooperative di consumatori ovvero tutelare il potere d’acquisto delle famiglie, coniugare prezzi e qualità dell’offerta è sempre più difficile, ma è per noi la sfida da vincere. Come Coop siamo impegnati su due fronti: recupero dell’efficienza sia all’interno delle cooperative che nelle filiere produttive a noi vicine e portare a compimento ciò che abbiamo chiamato la rivoluzione del nostro Prodotto a Marchio, garantendo con ciò la sicurezza, l’innovazione, la sostenibilità al giusto prezzo. A due anni di distanza dall’avvio del progetto con 74 categorie revisionate su 114 possiamo iniziare a tirare le fila e a enunciare i primi dati positivi. Questa strategia infatti aveva già iniziato a dare buoni risultati nel 2022 e in questa prima parte del 2023 con un aumento complessivo della quota MDD all’interno di Coop facendo diventare in tanti casi il nostro prodotto a marchio leader di categoria. Il forte aumento della quota a valore e a quantità del Prodotto Coop nei primi 8 mesi del 2023, 30% a valore e 34% a volume, ha generato così il contenimento del costo del carrello della spesa.
In tutto questo non si è ancora avviato il tavolo negoziale con l’industria di marca per l’anno 2024, del quale al momento non abbiamo ricevuto segnali. Approfitto di questa occasione per invitare tutti a assumersi le proprie responsabilità e avere un atteggiamento propositivo e improntato alla moderazione nelle richieste. I dati presenti nel Rapporto confermano i rischi che anche l’industria di marca sta correndo con un segno costantemente negativo sulle vendite oramai da tempo. Per come la vedo io, c’è la necessità di un confronto serio e costruttivo proprio per dare una risposta a larga parte della popolazione italiana in difficoltà. Ritengo possa essere un solido obiettivo comune lavorare per recuperare volumi di vendita che al momento i clienti stanno dirottando sui discount. Come Coop negli ultimi 18 mesi abbiamo trattenuto una parte importante dell’aumento dei listini industriali senza riversarli sui consumatori, ma i bilanci delle nostre cooperative ormai limitano la possibilità di impegni ulteriori se non nell’ambito di una fattiva collaborazione fra le parti, che peraltro anche le istituzioni stanno chiedendo”.
“Il Rapporto Coop 2023 disegna un Italia in difficoltà e resistente. L’inflazione erode il potere di acquisto, le diseguaglianze si accentuano, una parte della classe media è spinta verso il basso e ritiene di non avere le condizioni per una vita dignitosa. Il rischio della recessione è oggi molto più concreto e le politiche pubbliche sono incerte nel sostenere la domanda, anche per i concreti vincoli di bilancio. Il Pnrr stenta a decollare. L’occupazione va bene ma il lavoro povero, soprattutto dei giovani, ha raggiunto livelli allarmanti. Il quadro è davvero poco ottimistico – sostiene Marco Pedroni, Presidente Ancc-Coop – In Coop siamo fortemente impegnati nel sostenere il potere di acquisto dei nostri soci e consumatori e, oltre ad ampliare l’offerta di un prodotto a Marchio Coop molto conveniente e sostenibile, abbiamo attivato iniziative straordinarie di sostegno ai consumatori. Abbiamo aderito prima all’iniziativa della carta “Dedicata a te” promossa dal Masaf e ora all’invito del Governo, attraverso il Mimit, per una stagione di contrasto all’inflazione perché è nella nostra natura di cooperative che difendono le persone, soprattutto quelle più in difficoltà. Speriamo che tutte le imprese del largo consumo possano aderire. Ed è al Governo che chiediamo azioni molto concrete, non per noi ma per gli italiani: in primis di mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori attraverso il taglio del cuneo fiscale e con la detassazione degli aumenti salariali, poi di aiutare la parte più debole del Paese non solo attraverso la social card per gli indigenti ma anche attraverso il sostegno all’introduzione del salario minimo. Con un’inflazione che erode più del 15% del potere di acquisto la metà delle famiglie è in difficoltà, la domanda interna è destinata a ridursi ed i risparmi non potranno a lungo sostenere un livello significativo dei consumi. Un grande Paese come il nostro ha il dovere di reagire. E’ interesse anche delle imprese, di tutte le imprese”.