Il 15% degli occupati teme di perdere il lavoro. Gli italiani hanno già deciso che l’impatto dell’epidemia sull’economia nazionale sarà superiore a quello della recessione globale del 2008-2009 e della successiva crisi del debito sovrano del 2011-2012. Lo pensa il 73% dei cittadini. Più di un italiano su due è convinto che il colpo che subirà il nostro Paese sarà più forte di quello che sperimenteranno gli altri Paesi avanzati. Solo il 19,2% ritiene che le misure di sostegno attivate dal Governo riusciranno a contrastare efficacemente la crisi. Il 37,8% è convinto che al termine dell’emergenza la propria famiglia si troverà in condizioni economiche peggiori di prima. Il 15,2% degli occupati teme che a causa del coronavirus possa perdere il lavoro: ritiene il rischio concreto. È quanto emerge dal secondo report del progetto «Italia sotto sforzo. Diario della transizione 2020», realizzato dal Censis in collaborazione con l’Agi per analizzare le difficoltà che l’Italia si porta dietro dal passato, i nervi scoperti che hanno comportato l’impreparazione ad affrontare al meglio l’emergenza legata all’epidemia del Covid-19, per guardare in modo costruttivo al futuro.
Durante l’epidemia le tecnologie digitali hanno avuto una consacrazione definitiva. Il 61% degli italiani è convinto che tutto quello che è avvenuto ha dimostrato che si può vivere in modo diverso. Gli acquisti online sulle principali piattaforme di e-commerce hanno conosciuto un vero e proprio decollo. Durante il lockdown il 25,9% degli italiani ha aumentato l’uso della rete per questo scopo. Incrementi consistenti dell’utilizzo di internet si registrano anche per la spesa quotidiana a distanza e per i servizi di food delivery. La crescita del numero di utenti in questi due ambiti è di circa 2 milioni di consumatori in più, anche grazie alla collaborazione di familiari più esperti nell’uso della rete. Complessivamente, più del 40% degli italiani maggiorenni si è fatto consegnare la spesa a domicilio e circa un terzo ha utilizzato servizi di food delivery.
Durante il lockdown il 40% degli italiani maggiorenni ha studiato o lavorato da remoto. Tra gli occupati la percentuale arriva al 56,4%. Il 60,4% di chi ha vissuto questa esperienza in prima persona preferirebbe, almeno nel breve periodo, rimanere in smartworking. La ragione prevalente è per evitare il rischio di contagio sui mezzi pubblici o in ufficio, ma anche per l’opportunità di gestire meglio le esigenze familiari o perché ritengono questo modo di lavorare più produttivo ed efficiente.
Le misure per il contenimento della diffusione dell’epidemia hanno determinato nel primo trimestre 2020 una riduzione del 6,4% della spesa per consumi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Al netto della spesa alimentare e abitativa, il crollo della spesa media mensile è stato superiore al 12%. Le imprese commerciali sono sotto pressione e la prospettiva dello smartworking spaventa chi teme che la domanda di beni e servizi non riparta. Il Censis stima in circa 2,4 milioni gli addetti del settore privato che potrebbero verosimilmente operare a distanza anche in futuro. Estendendo la stima ai lavoratori del settore pubblico, si arriva a 2,8 milioni di lavoratori. Ma sostenere i consumi è vitale, evitando che le risorse delle famiglie finiscano in risparmio precauzionale senza tornare nei circuiti dell’economia reale.