Alla fine del 2019, l’economia italiana presentava evidenti segnali di stagnazione, solo in parte mitigati, a inizio 2020, da alcuni segnali positivi sulla produzione industriale e il commercio estero. A partire da fine febbraio, il dilagare dell’epidemia di COVID-19 e i conseguenti provvedimenti di contenimento decisi dal Governo hanno determinato un impatto profondo sull’economia, alterando le scelte e le possibilità di produzione, investimento e consumo ed il funzionamento del mercato del lavoro. Inoltre, la rapida diffusione dell’epidemia a livello globale ha drasticamente ridotto gli scambi internazionali e quindi la domanda estera rivolta alle nostre imprese.
L’Istat ha tempestivamente messo in atto numerose e coordinate attività per fornire informazioni utili a valutare gli impatti economici del COVID-19, predisponendo e diffondendo nuove basi di dati e analisi . In particolare, è stato offerto un quadro costantemente aggiornato del numero di imprese e di occupati coinvolti dai successivi provvedimenti di lockdown, congiuntamente alle caratteristiche strutturali delle imprese e alla loro dimensione e risultati economici. Utilizzando questi dati, e diverse altre fonti, sono state rese disponibili le prime stime di impatto sul valore aggiunto del 2020 realizzate utilizzando le tavole input-output dell’economia italiana . A maggio, è stata avviata un’indagine rapida presso le imprese per valutare la situazione e le prospettive durante l’emergenza COVID-19 i cui risultati verranno diffusi a metà giugno. Queste prime analisi hanno integrato gli aggiornamenti degli indicatori correnti, sintetizzati dalla contabilità nazionale trimestrale, che ha quantificato la caduta eccezionale del Pil italiano nel primo trimestre.
In questo contesto, caratterizzato anche dalla presenza di significative revisioni degli indicatori economici tradizionali, quantificare l’impatto dello shock senza precedenti che sta investendo l’economia italiana è un esercizio connotato da ampi livelli di incertezza rispetto al passato, quando la persistenza e la regolarità dei fenomeni rappresentava una solida base per il calcolo delle previsioni. Il quadro previsivo presentato va quindi interpretato come una prima sintesi dei risultati delle attività di utilizzo e interpretazione del complesso delle fonti informative disponibili e di adeguamento dei modelli previsivi, e come tale destinato a possibili revisioni nei prossimi mesi, congiuntamente all’arricchimento dell’informazione congiunturale disponibile.
Le previsioni presentate sono basate su ipotesi che riguardano prevalentemente l’ampiezza della caduta della produzione nel secondo trimestre del 2020, più marcata di quella del primo, e la velocità della ripresa dei ritmi produttivi nel terzo e quarto trimestre. Ulteriori assunzioni riguardano l’assenza di una significativa ripresa dei contagi nella seconda parte dell’anno, l’efficacia delle misure di sostegno ai redditi e gli impegni di spesa previsti nei recenti decreti e, infine, il proseguimento di una politica monetaria accomodante che stabilizzi i mercati finanziari garantendo il normale funzionamento del sistema del credito.
In base a queste ipotesi si prevede una marcata contrazione del Pil nel 2020 e una ripresa parziale nel 2021. Nell’anno corrente la caduta del Pil sarà determinata prevalentemente dalla domanda interna al netto delle scorte condizionata dalla caduta dei consumi delle famiglie e delle ISP e dal crollo degli investimenti, a fronte di una crescita dell’1,6% della spesa delle Amministrazioni pubbliche. Anche la domanda estera netta e la variazione delle scorte sono attese fornire un contributo negativo alla crescita. L’evoluzione dell’occupazione, misurata in termini di ULA, è prevista evolversi in linea con il Pil, con una brusca riduzione nel 2020 e una ripresa nel 2021. Diversa appare la lettura della crisi del mercato del lavoro attraverso il tasso di disoccupazione, il cui andamento rifletterebbe anche la decisa ricomposizione tra disoccupati e inattivi e la riduzione del numero di ore lavorate. L’andamento del deflatore della spesa delle famiglie manterrebbe una intonazione negativa nell’anno corrente per poi mostrare modesti segnali di ripresa nell’anno successivo.