Nel 2023, nonostante l’incertezza negli scenari economici globali, il 33% delle PMI italiane ha aumentato gli investimenti diretti per la trasformazione digitale a fronte di un solo 4% che li ha ridotti. Inoltre, oltre tre quarti delle stesse PMI del nostro Paese indica la transizione green come un obiettivo prioritario per l’azienda, ma solamente una ridotta percentuale del campione ha individuato una figura di coordinamento su queste tematiche, evidenziando un forte scollamento tra le dichiarazioni di intenti e l’effettiva attuazione.
“Il 2024 può essere l’anno in cui anche in Italia si gettano le basi per un salto sul fronte dell’innovazione digitale e green. Da un lato, le previsioni di una riduzione dei tassi d’interesse potranno fornire maggiore respiro alle imprese e incoraggiare gli investimenti, portando, auspicabilmente, all’incremento della produttività. Dall’altro, la finanza pubblica sta contribuendo in maniera importante a questa ‘doppia transizione’ delle imprese. Inoltre, l’aumento della consapevolezza da parte delle aziende in merito ai benefici prodotti dal digitale potrà favorire l’adozione tecnologica, compresa quella più di frontiera, agganciata al nuovo paradigma dell’AI generativa” dichiara Claudio Rorato, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI.
Le PMI nazionali operano, tuttavia, in uno scenario eterogeneo a livello di connettività, anche nel caso di territori storicamente a vocazione industriale. Il settore manifatturiero, nonostante il suo ruolo trainante, presenta significativi deficit di copertura di rete fissa, mentre il settore finanziario risulta il più avanzato. È quanto emerge dalla ricerca che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) e l’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI della School of Management del Politecnico di Milano stanno conducendo congiuntamente. Tale ricerca, che successivamente produrrà un report, nasce dal riconoscimento della connettività come fattore abilitante della trasformazione digitale e come elemento ancora critico ai fini della competitività del Sistema Paese.
Queste alcune delle evidenze presentate dall’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI della School of Management del Politecnico di Milano in occasione del convegno “Digital e Green: le PMI e il Paese verso la Twin Transition”.
Le piccole-medie imprese italiane stanno sempre più utilizzando la leva del digitale per gestire il cambiamento: il 65%, infatti, dichiara di investire intensamente nel digitale. Il restante 35%, invece, ha un approccio più timido: il 21% ritiene marginale il digitale nel settore in cui opera, l’8% non comprende i benefici che ne potrebbero derivare e il 6% crede che siano eccessivi i costi da sostenere.
Lo sguardo sulle tecnologie digitali di base rivela che sono molto diffuse le soluzioni di sicurezza informatica, i software di gestione amministrativa e contabile e gli applicativi di collaborazione. Se si osservano, invece, i dati relativi alle tecnologie più evolute emerge che solo un ristretto numero di aziende ha sviluppato progettualità che ne prevedessero l’impiego.
L’ostacolo principale ravvisato da chi decide di investire nella digitalizzazione dell’impresa risiede nell’assenza di adeguate competenze digitali. Mancano, in particolare, figure con competenze specifiche: nonostante la metà delle PMI stia portando avanti percorsi di formazione continua sul tema, è poco frequente l’inserimento di laureati STEM, dottori di ricerca o diplomati di alta formazione. Un ulteriore freno alla digitalizzazione riguarda l’eccesso di burocrazia e la poca chiarezza nei programmi di supporto alla digitalizzazione. È, invece, una nota positiva il fatto che l’accesso al sistema dei centri di innovazione territoriale sia ritenuto abbastanza agevole e che solamente il 7% delle PMI lo ritenga una criticità. Risultano, però, ancora poche le imprese che già si avvalgono di questi enti per sviluppare progettualità legate alla trasformazione digitale.
Nell’ultimo anno le piccole-medie imprese italiane, nonostante l’incertezza negli scenari economici, hanno aumentato la propensione agli investimenti in tecnologie digitali, segno di una maggior consapevolezza sulla loro rilevanza. I dati raccolti mostrano, infatti, cheil 33% delle PMI ha aumentato gli investimenti diretti per la trasformazione digitale, a fronte del 4% che li ha ridotti. Si tratta di dati incoraggianti per l’economia italiana: nel 2022, infatti, solo il 26% delle PMI aveva incrementato gli investimenti, rispetto all’8% che li aveva diminuiti.
Le PMI italiane negli ultimi anni hanno dimostrato una forte attenzione verso i programmi pubblici, anche a causa dell’emergere in rapida successione di crisi che ne hanno messo alla frusta l’operatività, la solvenza e la redditività. I dati raccolti nel 2024 mostrano che il 65% ha usufruito di strumenti agevolativi. Il supporto all’acquisto di beni strumentali è stata la principale area di investimento; più marginali le risorse ottenute per lo sviluppo di competenze per la transizione digitale e l’acquisto di beni immateriali.
Permangono forti ostacoli, tuttavia, nell’accesso a strumenti agevolativi da parte delle PMI italiane, legati in particolare alla complessità delle procedure burocratiche per accedere ai finanziamenti e alle difficoltà a intercettare le informazioni relative alle misure a disposizione.
A fronte di tali criticità, il ricorso a investimenti privati costituisce una fonte importante per le PMI che devono finanziare la propria transizione digitale. L’utilizzo della cassa e delle disponibilità liquide rimane il principale canale, specialmente per le medie imprese. Seguono il ricorso a linee di debito bancario, particolarmente rilevante per le piccole imprese, e il ricorso a prestiti garantiti e/o intermediati da enti pubblici, come nel caso della liquidità messa a disposizione attraverso il Fondo di Garanzia PMI. Infine, risulta ancora di nicchia l’utilizzo di mezzi di finanziamento in equity o di strumenti innovativi.
Il 76% delle PMI italiane riconosce la transizione verde come un obiettivo prioritario. Il dato, seppur positivo, esprime motivazioni soprattutto animate dal miglioramento della reputazione aziendale, dall’incremento dell’efficienza operativa e dalla necessità di rispondere a obblighi normativi e/o contrattuali con i propri clienti, mentre sono meno rilevanti gli impulsi che testimoniano l’esistenza di un’autonoma elaborazione culturale sul tema. A supporto di ciò, solamente il 27% delle PMI italiane ha individuato una figura di coordinamento per i temi legati alla transizione green. Anche tra le imprese che dichiarano di ritenere la sostenibilità ambientale una priorità, il dato si ferma al 34%, mostrando uno scollamento tra le dichiarazioni di intenti e l’effettiva attuazione.
La transizione verde è strettamente legata a quella digitale, tanto che si parla di twin transition. La prima rappresenta un’opportunità per migliorare l’impatto ambientale delle tecnologie digitali e, al tempo stesso, queste ultime possono costituire un fattore abilitante per la transizione verde, per esempio fornendo alle imprese strumenti per monitorare i consumi energetici o tracciare le materie prime. A oggi, la piccola e media impresa italiana crede nel tema della twin transition: il 57% di queste imprese impiega già strumenti digitali che consentono di perseguire obiettivi di sostenibilità ambientale.
Secondo il 65% delle PMI italiane, la transizione verde dovrebbe essere supportata da più programmi di finanza pubblica, in modo da rendere più veloce il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale.
“Affinché le PMI possano compiere con successo il passaggio al nuovo paradigma abilitato dalla twin transition è fondamentale, da una parte, continuare a investire nelle competenze degli addetti e del management, e, dall’altra, poter contare su un’infrastruttura di connettività adeguata alle proprie esigenze e su normative in grado di offrire opportunità di investimento in modo chiaro e compatibile con l’operatività dell’impresa” conclude Claudio Rorato, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI. “Risulta quindi cruciale l’apporto dell’ecosistema. Tutte le parti in causa, dai fornitori tecnologici agli intermediari finanziari, dalle associazioni di categoria alle startup fino alla Pubblica Amministrazione e ai professionisti devono aiutare le PMI a navigare la complessità, favorire l’innesco di processi di contaminazione, promuovere la diffusione di know-how specialistico e di una vera e propria cultura dell’innovazione”.