Il settore ICT responsabile di circa il 4% delle emissioni
È possibile una transizione digitale che sia anche ecologica? La risposta può essere affermativa se si imparano a comprendere i costi ambientali dei sistemi digitali, intelligenti o meno, che permeano la vita contemporanea e di ciò che ne consente il funzionamento: le infrastrutture di telecomunicazione e i data center. Da questo intento nasce il libro “Le emissioni segrete. L’impatto ambientale dell’universo digitale” di Giovanna Sissa che sarà presentato dall’autrice con Norberto Patrignani, sabato 26 ottobre alle 10.30 all’interno della nona edizione del Festival Informatici Senza Frontiere.
La consuetudine con gli oggetti digitali rende insensibili al loro impatto in termini di emissioni di gas serra, consumi di energia elettrica, sfruttamento di risorse non rinnovabili e produzione di rifiuti elettronici. La miniaturizzazione dei dispositivi individuali e l’”invisibilità” di Internet e dei data center rendono difficile immaginare quanta energia sia necessaria per consentirne costruzione, uso e smaltimento. Costruire ogni singolo dispositivo, a partire dai processi di estrazione delle materie prime fino alla produzione dei componenti e all’assemblaggio, richiede energia e produce emissioni di carbonio. Produrre uno smartphone del peso di 140 g richiede circa 700 MJ di energia primaria, mentre ci vogliono 85mila MJ per produrre un’auto a benzina del peso di 1.400 Kg: è necessario consumare 80 volte più energia per costruire “un grammo di smartphone” che “un grammo di automobile”.
Dalle emissioni generate in fase di produzione dei vari dispositivi, alle emissioni in fase d’uso, fino a considerare i rifiuti digitali i capitoli del volume di soffermano su come l’universo digitale produca emissioni.
L’utilizzo di dispositivi finali, data center e infrastrutture di telecomunicazione richiede grandi quantità di energia elettrica. Se è facile vedere che lo smartphone consuma fra i 4 kWh e gli 8 kWh di energia elettrica l’anno per ricaricarsi o un laptop medio, con un utilizzo domestico di 4 ore al giorno, consuma circa 30 kWh l’anno, quello che sfugge completamente all’utente sono i consumi di elettricità che avvengono quando, tramite Internet, si utilizzano le infrastrutture in cloud su cui vengono erogati i servizi digitali.
«Dietro alle opportunità offerte dalle tecnologie digitali – spiega Giovanna Sissa – ci sono infrastrutture di rete – Internet e data center – estremamente concrete che hanno bisogno di enormi quantità di energia elettrica per funzionare e che si inseriscono a tutti gli effetti nella catena di produzione della CO2. Con un impatto ambientale spesso sconosciuto o ampiamente sottovalutato dai suoi utenti finali e, persino, dalle varie figure professionali coinvolte».
A livello globale, nel 2022, le reti di trasmissione dati, secondo la IEA International Energy Agency, hanno consumato 260-360 TWh, pari all’1-1,5% del consumo globale di elettricità.
Una stima dell’IEA, inoltre, riporta un consumo dei data center di 240-340 TWh, ossia l’1-1,3% del consumo globale di elettricità.
I consumi elettrici, come descritto nel volume, si trasformano in emissioni di carbonio a seconda di quali fonti primarie di energia sono state usate, se rinnovabili o meno. Dopo aver visto come dalla produzione, all’uso e fino allo smaltimento, l’universo digitale sia responsabile di emissioni di gas serra, ci si chiede a quanto esse ammontino globalmente. La stima globale delle emissioni di carbonio dell’universo digitale ha superato nel 2020 il 4% del totale mondiale, un impatto paragonabile a quello del quarto Stato al mondo, dopo Stati Uniti, Cina e India.
L’attenzione si rivolge poi alle prospettive future, in particolare alle Intelligenze Artificiali o alle criptomonete che «si caratterizzano per utilizzare tipi specifici di hardware e dunque pongono nuovi interrogativi, anche per quanto riguarda l’impatto ambientale. Anche se realizzati con nuovi accorgimenti tecnologici e con quanto di meglio disponibile in termini di efficienza, richiedono, per loro natura, risorse crescenti di calcolo e di connettività e dunque, intrinsecamente, lasciano impronte di carbonio profonde. I miglioramenti esponenziali in termini di velocità e precisione sono conseguiti nella scia di quello che alcuni chiamano «massimalismo computazionale», che ha un profondo impatto ecologico».
Dopo aver evidenziato come il fenomeno del greenwashing sia presente anche nel settore ICT, il volume si conclude osservando che “dietro alle meraviglie digitali incombenti si celano dunque dense nubi di carbonio”.