Un team internazionale guidato dall’University College London, che ha visto la partecipazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia con il gruppo di ricerca di Vulcanologia del Dipartimento DiSTeM dell’Università di Palermo, ha sviluppato e utilizzato una nuova tecnologia basata sull’uso dei droni per la misura dei gas vulcanici emessi dai vulcani attivi, dimostrando così che anche nei vulcani inaccessibili e pericolosi come il Manam, i droni rappresentano l’unico modo per realizzare importanti misure per caratterizzarne lo stato di attività in condizioni in sicurezza. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Science Advances dell’AAAS.
Oggi, la tecnologia offre agli scienziati i mezzi per condurre ricerche che prima erano solo un sogno. Ciò che apparentemente era fuori portata nel corso degli anni ora è raggiungibile, come dimostrato nel nuovo progetto internazionale Aerial-based Observations of Volcanic Emissions.
Questo progetto ha utilizzato tecnologie innovative, cioè droni con a bordo apparecchiature miniaturizzate di campionamento, per raccogliere misure di gas vulcanici presso i vulcani di Manam e Rabaul in Papua Nuova Guinea. Questi sono dei forti emettitori di gas, ma poco si sa su di loro perché i pennacchi sono di difficile accesso usando tecniche terrestri, specialmente in caso di eruzioni.
ABOVE sta cambiando il modo in cui gli scienziati campionano le emissioni di gas vulcanici attraverso lo studio condotto nell’ambito del Deep Carbon Observatory, una comunità globale di scienziati impegnati in una ricerca decennale che punta a una migliore comprensione del ciclo naturale terreste del carbonio.
Sfruttando i recenti progressi nella tecnologia dei droni, gli UAS sono in grado di acquisire misurazioni aeree di gas vulcanici direttamente dai pennacchi. Questo progetto trascende i tradizionali confini disciplinari, riunendo scienziati, ingegneri e piloti per studiare alcuni dei vulcani più inaccessibili ma fortemente degassanti del mondo.
Nel mese di maggio del 2019, un team internazionale di scienziati ha intrapreso un’ambiziosa campagna di misure presso i due vulcani in Papua Nuova Guinea, entrambi tra i più prodigiosi emettitori di anidride solforosa sulla Terra e tuttavia privi di qualsiasi misurazione della quantità di carbonio emessa nell’atmosfera.
Il team comprende scienziati provenienti da Regno Unito, Italia, Stati Uniti, Papua Nuova Guinea, Svezia, Germania e Costa Rica. Il progetto unisce diversi gruppi che lavorano sulle misurazioni dei gas vulcanici tramite droni in tutto il mondo.
I gruppi hanno schierato vari tipi di drone dotati di sensori di gas, spettrometri e dispositivi di campionamento per acquisire misurazioni vicino alle emissioni di anidride carbonica e altri gas. Le diverse metodiche sono state comparate per verificarne gli ambiti di impiego ottimale.
Il team italiano ha messo a disposizione la strumentazione geochimica sviluppata nei propri laboratori, per l’installazione a bordo di droni messi a punto da un team dell’Università di Bristol, sia ad ala fissa, più adeguati a voli su lunghe distanze e per fare misure di composizione attraversando i gas del plume, che ad ala rotante, più versatili per campionamento di gas in punti fissi. L’integrazione dei sistemi è stata effettuata in stretta collaborazione tra i due team. Già dalle fasi preliminari del progetto un drone ad ala rotante completo di sensoristica geochimica e altra strumentazione portatile, sono stati lasciati a disposizione dell’osservatorio vulcanologico di Papua Nuova Guinea, il Rabaul Volcanological Observatory.
Utilizzando nuovi sensori di gas e spettrometri miniaturizzati, e progettando innovativi dispositivi di campionamento attivabili in maniera automatica, i ricercatori sono stati in grado di far volare droni fino a 2 km di altezza e 6 km di distanza e di raggiungere le inaccessibili aree dove eseguire le misurazioni.
Infatti particolarmente impegnativa è stata la campagna sul vulcano Manam, che ha un diametro di 10 km e un’elevazione di 1.800 m sul livello del mare, con gran parte delle zone sommitali totalmente inaccessibili. Si trova su un’isola a 13 km dalla costa nord-orientale della Papua Nuova Guinea.
Questo vulcano era noto da misure satellitari essere uno tra i maggiori emettitori di anidride solforosa al mondo, ma prima di questo progetto non si sapeva nulla sulla sua produzione di CO2, molto più difficile da misurare da lontano a causa delle alte concentrazioni nell’atmosfera di background.
Infine, proprio il rapporto di abbondanza tra queste le specie CO2 e SO2 risulta essere fondamentale per determinare la probabilità del verificarsi di un’eruzione, perché correlata con la profondità nella quale il magma risiede, ed entrambe le specie sono state rilevate durante le campagne di misura.