Le osservazioni sulla cosiddetta materia oscura del nostro Universo sono sempre più numerose e significative, ma sono ancora tante le incognite in questo affascinante campo della fisica moderna.
La particella elementare massiccia più leggera conosciuta in natura è il neutrino, con una massa qualche milione di volte più piccola di quella di un elettrone. Alcuni modelli di materia oscura hanno però suggerito l’esistenza di particelle elementari anche molto più leggere, le cui masse che possono essere miliardi di volte più piccole di quella di un neutrino.
Rilevare queste sfuggenti particelle è impossibile sulla Terra, a causa delle loro debolissime interazioni con la materia “conosciuta”, cosiddetta ordinaria.
In un nuovo lavoro recentemente pubblicato sulla rivista “Physical Review Letters”, il team di ricercatori coordinato da Paolo Pani del Dipartimento di Fisica della Sapienza, ha identificato nei buchi neri un metodo innovativo per la ricerca di questa materia oscura ultraleggera.
I buchi neri possono amplificare radiazione in un certo range di frequenze generando un sorprendente effetto chiamato superradianza. Finora la superradianza e il suo segnale emesso in onde gravitazionali sono stati studiati solo per una certa famiglia di particelle con proprietà simili al fotone, per riprodurre onde elettromagnetiche, qui, per la prima volta sono stati applicati a particelle con proprietà simili al gravitone, trasformando i buchi neri in veri e propri “fari di onde gravitazionali”.
Secondo i ricercatori, se tali particelle esistono in natura e hanno una massa minuscola, potenzialmente qualsiasi buco nero nell’universo potrebbe emettere periodicamente onde gravitazionali a una data frequenza (direttamente correlata alla massa delle particelle di materia oscura), analogamente a uno strumento musicale che ripete sempre la stessa singola nota con cadenza regolare.
“Cercando questo segnale – commenta Paolo Pani – i rivelatori di onde gravitazionali come LIGO e Virgo cercheranno la materia oscura ultraleggera in un nuovo regime, finora praticamente inesplorato. E forse, dopo tutto, la risposta al problema della materia oscura verrà proprio dai buchi neri”.
Lo studio è parte del progetto Marie Skłodowska Curie “FunGraW” e del progetto ERC DarkGRAentrambi ospitati presso il Dipartimento di Fisica della Sapienza.