Alla fine del 2019 l’editore Delos Digital ha dato alle stampe il libro “Fanta-scienza“, curato da Marco Passarello: un mix di interviste scientifiche e racconti di fantascienza che, in piena pandemia, ha fatto sempre più parlare di sé. Abbiamo chiesto a Passarello come è nato il progetto e come è stato accolto.
Marco, per cominciare, descrivi il libro che hai curato, Fanta-Scienza.
Il libro contiene otto interviste ad altrettanti ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia, operanti nei campi più disparati: robotica, medicina, genetica, microscopia… A ognuno degli intervistati ho chiesto di descrivere in primo luogo l’oggetto delle sue ricerche, e in secondo luogo di immaginare come il suo campo di studi potrebbe evolversi nel futuro e influenzare la società. A ogni intervista è poi associato un racconto di fantascienza, che un autore ha scritto ispirandosi direttamente a quanto detto dal ricercatore, a volte anche consultandolo direttamente per avere ulteriore ispirazione.
Come ti è venuta l’idea di mettere scienza e fantascienza una accanto all’altra?
L’idea non è così nuova. Anche se in Italia l’opinione dominante è che la fantascienza sia un genere adolescenziale a carattere unicamente avventuroso, all’estero è piuttosto comune che anche riviste di scienza e tecnologia molto serie dedichino uno spazio alla fantascienza che, quando è scritta con rigore, viene vista come un modo per esplorare in anticipo le possibilità della tecnologia.
Nello specifico, l’idea mi venne mentre mi occupavo di recensire un’antologia simile pubblicata negli Stati Uniti: Hieroglyph, curata da Neal Stephenson e composta da racconti ispirati dai ricercatori dell’Università dell’Arizona. Chiesi il parere di Bruce Sterling, lo scrittore di fantascienza statunitense (che da tempo risiede a Torino), che mi disse: “Bisognerebbe fare una cosa simile anche in Italia”. Decisi di seguire il suo consiglio. L’occasione di realizzarla mi venne da Roberto Cingolani, attuale ministro della transizione ecologica e allora direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia, che apprezzò l’idea e mi mise in contatto con i ricercatori del suo istituto disposti a collaborare.
Come ha funzionato la collaborazione tra scienziati e scrittori?
Molto meglio di quanto sperassi. Inizialmente quasi tutti i ricercatori sono stati un po’ “timidi” nell’abbandonarsi a speculazioni che richiedessero di uscire dallo stretto ambito delle loro ricerche. Tuttavia, una volta instradati nella giusta direzione, sono stati capaci di spingersi molto lontano. Una delle cose che l’esperienza di questo libro mi ha insegnato è che per essere dei buoni ricercatori non basta la rigorosità, occorre anche una grande fantasia per saper cercare anche in direzioni nuove.
In alcuni casi gli scrittori si sono consultati spesso con gli scienziati, e li hanno incontrati di persona, nei loro laboratori. Dal canto loro, gli scienziati sono intervenuti anche alle presentazioni del libro, portando interessanti riflessioni sul rapporto tra scienza e immaginazione. In generale mi sembra che i due mondi non siano così lontani come si immagina, e potrebbero collaborare in modo proficuo se si creassero più spesso le occasioni.
Quali evoluzioni della tecnologia sono state previste dagli scienziati che hai intervistato?
Per cominciare, è evidente un grande interesse per tecnologie sostenibili che minimizzino il proprio impatto ambientale. C’è per esempio chi ha parlato della creazione di circuiti elettronici biodegradabili o addirittura commestibili, o di materie plastiche ottenibili non dal petrolio ma da fonti rinnovabili come scarti vegetali; o ancora di robot simili a piante in grado di penetrare nel terreno, dandoci una conoscenza molto più approfondita dei problemi dell’ambienti e di come porvi rimedio.
Un’altra tendenza molto forte è quella di una compenetrazione ancora maggiore tra il mondo umano e quello della tecnologia. Non solo i ricercatori prevedono un uso intensivo di robot all’interno delle nostre case e nella vita quotidiana, ma immaginano molte tecnologie che ci porteranno verso un uomo sempre più “bionico”: da sensori che si possono tatuare direttamente sul corpo, a robot che si possono ingerire a fini diagnostici e poi digerire, a nanomacchine programmabili che stazioneranno in permanenza dentro di noi pronte a ricevere comandi per monitorare il nostro stato di salute, curare malattie o renderci più efficienti o resistenti ad ambienti ostili. La scienza punta a conoscere e controllare sempre meglio il nostro corpo per mantenerlo sempre sano.
E quale è stato il punto di vista degli scrittori?
Nell’istruire gli autori dei racconti ho raccomandato di non assumere un approccio aprioristicamente negativo, ma li ho anche lasciati liberi di andare oltre le previsioni utopistiche fatti dagli scienziati. Guardando i risultati, penso che la caratteristica più interessante dell’antologia sia che diversi autori assumono un punto di vista “laterale”. Non si limitano cioè a celebrare i successi futuri di una tecnologia, e nemmeno a denunciare le possibili conseguenze di un suo fallimento, ma si divertono a immaginare effetti imprevisti. Così abbiamo, per esempio, un robot che, incaricato di curare una famiglia disfunzionale, diventa disfunzionale anche lui; un vecchietto che, dopo aver passato anni in compagnia di un televisore fabbricato con materie plastiche cresciute biologicamente, inizia a trattarlo come un essere vivente e, quando si rompe, vuole fargli il funerale; o ancora (nel racconto che ho scritto io), dei ragazzi che scoprono che l’effetto collaterale dell’ingestione di robot diagnostici è la possibilità di condividere sprazzi di pensieri e sentimenti. Questo è, a mio avviso, quello che fa la migliore fantascienza: parte da dati scientifici reali per addentrarsi in territori fantastici.
Qual è stata la più grande soddisfazione che ti ha dato il libro?
Indubbiamente l’apprezzamento di Bruce Sterling. Ha parlato benissimo del libro di fronte al pubblico di Lucca Comics, e mi ha detto che se farò un secondo volume vorrà assolutamente partecipare. Detto dal fondatore della fantascienza cyberpunk, e curatore di una delle più influenti antologie di fantascienza mai pubblicate, Mirrorshades, è il miglior complimento che potessi ricevere.
E la più grande delusione?
Lo scarsissimo interesse per il mio progetto da parte della grande e media editoria italiana. Nonostante due dei principali scrittori italiani del Novecento, Italo Calvino e Primo Levi, abbiano scritto tante grandi pagine di letteratura legata alla scienza, e persino di fantascienza vera e propria, nel mondo editoriale scienza e letteratura vengono viste come due compartimenti stagni, e un progetto come il mio che le mette insieme non viene compreso.