Ricercatori dell’Università di Bologna e dell’INFN hanno osservato sottili differenze nel modo in cui si trasformano alcune particelle, chiamate mesoni D0, e le loro rispettive anti-particelle: una nuova asimmetria tra materia e antimateria, predetta dal Modello Standard e lungamente cercata dagli scienziati
Se materia e antimateria sono equivalenti, perché il nostro universo è composto esclusivamente di materia? Un passo avanti per rispondere a questa domanda fondamentale, che da decenni sta tenendo impegnati i fisici di tutto il mondo, arriva oggi grazie al lavoro di un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna e della sezione bolognese dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Analizzando i dati generati dal LHCb, uno dei quattro apparati sperimentali attivi nel Large Hadron Collider del CERN di Ginevra, gli studiosi hanno osservato sottili differenze nel modo in cui si trasformano alcune particelle chiamate mesoni D0 e le loro rispettive anti-particelle, i mesoni anti-D0. Una diversità di comportamento da cui emerge una nuova asimmetria tra materia e antimateria, predetta dal Modello Standard delle particelle elementari e lungamente cercata.
“Questo fenomeno, chiamato violazione della simmetria CP, è ben noto nella fisica moderna, ma è la prima volta che viene osservato in particelle di questo tipo”, spiega Vincenzo Vagnoni, ricercatore dell’INFN che ha guidato il gruppo di ricerca. La scoperta arriva infatti a più di cinquant’anni di distanza da quando vennero osservate per la prima volta asimmetrie di comportamento tra particelle e antiparticelle. In quel caso, però, protagoniste erano altre particelle, chiamate mesoni K0: i due fisici che fecero quella scoperta, James Cronin e Val Fitch, furono insigniti del premio Nobel per la fisica nel 1980.
Il nuovo risultato è stato presentato da Federico Betti, giovane ricercatore dell’Università di Bologna e dell’INFN, alla conferenza Rencontres de Moriond 2019, uno degli appuntamenti annuali più importanti per la fisica delle particelle. “Aver contribuito alla realizzazione di questa misura – spiega il ricercatore – è stata per me un’esperienza entusiasmante. Ho lavorato ininterrottamente all’analisi dei dati durante gli ultimi due anni e mezzo, inserendomi in un lavoro quasi decennale portato avanti dal nostro gruppo di ricerca”.
In contemporanea, Angelo Carbone, professore dell’Università di Bologna, ha comunicato l’importante scoperta in un seminario al CERN. “Abbiamo realizzato una misura di altissima precisione che ha richiesto un lunghissimo lavoro”, spiega Carbone. “La differenza di comportamento tra le particelle D0 e le corrispondenti antiparticelle è infatti molto piccola e abbiamo avuto bisogno di produrre e ricostruire decine di milioni di loro decadimenti per poterla osservare e misurare con precisione”.
Per la fisica delle particelle elementari si tratta di un risultato storico: un nuovo indizio che può aiutarci a capire meglio la relazione tra materia e antimateria. “Questa scoperta verrà riportata nei testi universitari di fisica delle particelle elementari”, assicura Nicola Semprini Cesari, direttore del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna. “Si tratta di un risultato che conferma la rilevanza delle attività di ricerca svolte presso il CERN dai nostri ricercatori”. Un successo che viene sottolineato anche da Graziano Bruni, direttore della Sezione INFN di Bologna: “Ogni progresso della conoscenza in fisica fondamentale è per noi fonte di grande emozione. Quando poi i risultati vengono da gruppi di ricercatori italiani, la soddisfazione è ancora più grande e dimostra la bontà degli investimenti fatti in termini di personale e risorse”