Ricercatori dell’Istituto dei sistemi complessi del Consiglio nazionale delle ricerche e della Universidad Carlos III hanno dimostrato come reti caratterizzate da una dinamica caotica possano essere indirizzate a raggiungere un comportamento. Il lavoro pubblicato su “Scientific Reports” propone un protocollo capace di guidare la rete in direzione di una evoluzione desiderata, purché questa sia compatibile con la dinamica spontanea del sistema.

“Il nostro universo è pieno di sistemi descrivibili come reti di elementi interagenti nella maniera più varia: il cervello è una rete di neuroni, una popolazione una rete di individui, un ecosistema una rete di popolazioni”, dichiara Stefano Boccaletti del Cnr-Isc. “Lo studio dimostra come sia sufficiente agire solo su pochi dei nodi della rete (un procedimento detto pinning), per indirizzare quest’ultima verso la dinamica desiderata. Per molti anni si è pensato, erroneamente, che le dinamiche caotiche fossero qualcosa di indesiderato, in quanto impredicibili su tempi lunghi. Il nostro studio mostra invece che una dinamica caotica sia in realtà desiderabile, in quanto consente di indirizzare a piacimento il sistema verso infiniti possibili stati in modo del tutto controllabile, cosa che sarebbe impossibile se il comportamento del sistema fosse regolare”.

Massimo Materassi uno dei ricercatori del team Cnr spiega che “la controllabilità di una rete si estende così a reti con morfologie irregolari e variabili: si applica ad un amplissimo numero di sistemi dinamici reali dove i legami tra i nodi possono essere non-lineari, con connessioni dirette o indirette tra i nodi e non simmetriche”.

Le finalità pratiche di questo studio sono molteplici. “Abbiamo applicato questi risultati teorici alla formulazione di una teoria per la gestione adattativa degli ecosistemi”, conclude Stefano Focardi del Cnr-Isc. “In una situazione di crisi ambientale come l’attuale, in presenza di continui conflitti tra fauna selvatica e popolazione umana, poter gestire al meglio gli ecosistemi naturali è fondamentale e questo studio può contribuire al raggiungimento degli obiettivi della convenzione internazionale per la conservazione della diversità biologica. La sfida ora è applicare queste nuove metodologie alla gestione pratica delle aree protette e degli ecosistemi”.

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