Con un calo complessivo dei consumi dell’11,7%, pari ad oltre 126 miliardi di euro, il 2020 ha registrato il peggior dato dal secondo dopoguerra; un dato su cui pesa la riduzione del 60,4% della spesa dei turisti stranieri, pari ad una perdita di circa 27 miliardi di cui 23 concentrati prevalentemente nelle regioni del Centro-Nord; quanto alla spesa pro capite, il crollo della domanda ha comportato, mediamente, una riduzione di oltre 2.000 euro rispetto al 2019 riportando i consumi ai livelli del 1995; ma la perdita di consumi ha avuto andamenti differenziati sul territorio: il Nord e il Centro risultano le aree più penalizzate, mentre il Sud ha registrato dinamiche lievemente meno negative; in questi ultimi due mesi del 2021, tuttavia, le riaperture delle attività e il venir meno di molte restrizioni alla mobilità hanno determinato un incremento dei consumi consolidando il recupero del Pil; potrebbe essere l’avvio di una fase meno difficile anche se il gap rispetto ai livelli pre-Covid rimane ancora molto ampio e le previsioni per il 2021, seppur con consumi in ripresa del +3,8%, restano molto caute, soprattutto per le incognite sulla ripartenza del turismo internazionale; con la conseguenza che, in valore assoluto, la spesa pro capite, mediamente, non riuscirà a recuperare nemmeno un terzo di quanto perso durante la pandemia.

Questi i principali risultati che emergono da un Report sui consumi 2019-2021 dell’Ufficio Studi Confcommercio con l’analisi regionale, le previsioni per il 2021 e la rilevazione congiunturale di giugno di Pil e consumi.

Il confronto regionale in serie storica mette in luce l’eccezionalità di quanto rilevato nel 2020. La riduzione dell’11,7% registrata in un solo anno non ha nessun rapporto o confronto con quanto osservato negli anni per cui si dispone di serie storiche omogenee e confrontabili.

La pesante flessione registrata dai consumi nel 2020, che ha visto il Mezzogiorno registrare un andamento lievemente meno negativo rispetto al Centro-Nord, si innesta, peraltro, su contesti territoriali molti diversi.

Il Sud si è trovato ad affrontare la crisi dopo un lunghissimo periodo in cui i consumi dell’area avevano mostrato elementi di forte sofferenza, pur nel confronto con una dinamica complessivamente molto debole dell’intero Paese.

La differenza di performance si rileva sia nel periodo 1996-2007, di moderata crescita, sia negli anni successivi, nei quali l’area non era minimamente riuscita a recuperare la perdita di domanda generata dalla doppia crisi.

Quest’evoluzione ha determinato una riduzione del contributo fornito dal Mezzogiorno alla domanda per consumi delle famiglie. La quota ha infatti mostrato una progressiva riduzione passando dal 30,3% del 1995 al 27,3% del 2020.

Nel passaggio dalle ripartizioni alle regioni emergono anche molte differenze. Le contrazioni più significative della domanda, e ben superiori al dato nazionale e ripartizionale, si rilevano in Veneto, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Sardegna. Per contro riduzioni inferiori al 9% si stimano in Trentino Alto Adige, Abruzzo, Basilicata e Puglia. Tra gli altri riscontri, per interpretare queste stime, si può fare riferimento alla quota della spesa degli stranieri sugli specifici territori regionali: quote maggiori implicano maggiori cadute dei consumi, mitigate, nel caso del Trentino Alto Adige dalla crescita dei residenti, in controtendenza netta con il dato nazionale.

Il confronto in serie storica dei dati relativi ai consumi pro capite evidenzia andamenti delle ripartizioni meno articolati. La caduta dei consumi delle regioni del Sud appare, infatti, meno drastica rispetto a quanto rilevato a livello aggregato regionalmente.

Nel complesso, se si guarda all’impatto che ha avuto il crollo dell’attività economica nel 2020 sul versante dei consumi pro capite, si rileva come la spesa per residente, espressa a prezzi 2020, sia di fatto tornata al livello del 1995. Per il Sud il regresso appare ancora più rilevante con un valore dei consumi inferiore rispetto all’inizio delle serie storiche.

Anche in questo caso le differenze a livello regionale nella spesa per abitante sono significative. Si va dagli oltre 24mila euro della Valle d’Aosta ai poco più di 11.700 della Campania. Il record negativo della regione risiede, in parte, nell’essere l’unico territorio meridionale a non aver conosciuto significative perdite di popolazione residente tra il 1995 ed il 2020.

La spesa sostenuta dagli stranieri, che nel 2019 rappresentava oltre il 4% dei consumi sul territorio nazionale, ha registrato nel 2020 una caduta significativa, con una riduzione complessiva di circa 27 miliardi. Il fenomeno, pur diffuso, ha colpito in misura più rilevante le regioni del Centro-Nord, territori nei quali l’incidenza di questa voce sulla spesa è storicamente più elevata.

In linea generale si nota una profonda sofferenza nelle regioni in cui il turismo ha connotati meno stagionali e dove le città d’arte costituiscono un polo d’attrazione, soprattutto in primavera ed in autunno, come Lazio, Toscana, Campania, Sicilia, Veneto e Lombardia. In termini percentuali la caduta più significativa si è registrata nel Lazio a cui si contrappone la quasi tenuta della Valle d’Aosta regione in cui il turismo straniero, però, svolge un ruolo cruciale, osservandosi una quota sui consumi interni della regione del 14,5%.

Il deciso aumento registrato in Molise rappresenta statisticamente un bias, ovvero una distorsione attesa determinata dai numeri molto piccoli del turismo straniero in questa regione.  

Nel complesso, se si guarda all’impatto che ha avuto il crollo dell’attività economica nel 2020 sul versante dei consumi pro capite, si rileva come la spesa per residente, espressa a prezzi 2020, sia di fatto tornata al livello del 1995. Per il Sud il regresso appare ancora più rilevante con un valore dei consumi inferiore rispetto all’inizio delle serie storiche.

Anche in questo caso le differenze a livello regionale nella spesa per abitante sono significative. Si va dagli oltre 24mila euro della Valle d’Aosta ai poco più di 11.700 della Campania. Il record negativo della regione risiede, in parte, nell’essere l’unico territorio meridionale a non aver conosciuto significative perdite di popolazione residente tra il 1995 ed il 2020.

La spesa sostenuta dagli stranieri, che nel 2019 rappresentava oltre il 4% dei consumi sul territorio nazionale, ha registrato nel 2020 una caduta significativa, con una riduzione complessiva di circa 27 miliardi. Il fenomeno, pur diffuso, ha colpito in misura più rilevante le regioni del Centro-Nord, territori nei quali l’incidenza di questa voce sulla spesa è storicamente più elevata.

In linea generale si nota una profonda sofferenza nelle regioni in cui il turismo ha connotati meno stagionali e dove le città d’arte costituiscono un polo d’attrazione, soprattutto in primavera ed in autunno, come Lazio, Toscana, Campania, Sicilia, Veneto e Lombardia. In termini percentuali la caduta più significativa si è registrata nel Lazio a cui si contrappone la quasi tenuta della Valle d’Aosta regione in cui il turismo straniero, però, svolge un ruolo cruciale, osservandosi una quota sui consumi interni della regione del 14,5%.

Il deciso aumento registrato in Molise rappresenta statisticamente un bias, ovvero una distorsione attesa determinata dai numeri molto piccoli del turismo straniero in questa regione.  

Nel mese di maggio e nella prima parte di giugno le attività economiche e la vita sociale, in linea con l’accelerazione della campagna vaccinale e i conseguenti miglioramenti della situazione sanitaria, hanno mostrato sensibili progressi verso il ritorno alla normalità. Nell’ipotesi di assenza di nuove ondate di contagi, si può oggi guardare con salda fiducia a una ripresa economica significativa, nonostante la situazione ancora molto difficile del terziario di mercato, in particolare della filiera turistica in senso lato.

L’ICC segnala a maggio 2021 un incremento su base annua del 14,2%, un dato che riflette, però, il confronto con un mese in cui, lo scorso anno, l’Italia usciva gradatamente dalla fase di lockdown rigido. Va detto che, al netto dei fattori stagionali, a maggio si rileva, dopo alcuni mesi di persistente riduzione, una variazione congiunturale positiva di una certa entità che lascia sperare nell’inizio di una fase meno difficile per i consumi, anche se il gap con i livelli pre-Covid rimane molto ampio, soprattutto per i servizi.

Al momento, il recupero puramente statistico continua ad interessare in misura principale il settore dei servizi, per i quali la variazione su base annua si attesta al 42%. Nonostante i dati dell’ultimo trimestre, il livello della domanda per molti dei settori che compongono l’aggregato è ancora molto distante dai livelli pre-crisi, con riduzioni che superano il 50% nel confronto con maggio 2019. Anche in alcuni ambiti della domanda di beni, in particolare abbigliamento e calzature, gli importanti incrementi tendenziali degli ultimi mesi hanno solo attenuato le perdite.

Quanto al Pil, nel mese di giugno le progressive riaperture ed i primi timidi segnali di ripresa del turismo, al momento principalmente domestico o proveniente dai paesi europei, hanno contribuito a consolidare la tendenza al recupero già emersa a maggio. Rispetto al mese precedente si conferma una crescita del 2,9%, nella misurazione al netto dei fattori stagionali (tab. 5). Su base annua, la variazione stimata del PIL in giugno è del +13,2%. Per il secondo trimestre la stima è di una variazione congiunturale del 2,4% e del 16,7% nel confronto con il secondo trimestre del 2020, periodo nel quale si è registrata la riduzione più significativa dal secondo dopoguerra. Questa progressione, assieme alla revisione in positivo effettuata dall’Istat per il primo trimestre, consolida le prospettive di una crescita per il 2021 prossima tra il 4,5% e il 5%.

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