La fabbricazione di biosensori enzimatici è un settore in continua espansione che ha attirato l’attenzione a livello industriale grazie alla possibilità di poter sfruttare le proprietà intrinseche dei biorecettori enzimatici che li rendono altamente selettivi e sensibili. In particolare, i biosensori a base dell’enzima laccasi suscitano molto interesse per la loro capacità di rilevare molecole altamente tossiche nell’ambiente diventando strumenti essenziali nei campi delle tecnologie di produzione industriale con un basso impatto ambientale come la biotecnologia bianca e la chimica verde che utilizzano rispettivamente organismi viventi e sostanze chimiche non inquinanti al fine di creare processi industriali con meno sottoprodotti dannosi.
La produzione di un nuovo biosensore a base di laccasi, esente da metalli, con capacità di riutilizzo e conservazione senza precedenti, è stata raggiunta dal gruppo di ricerca dell’Istituto di struttura della materia del Consiglio nazionale delle ricerche attraverso l’applicazione della metodologia di deposizione elettrospray come tecnica di immobilizzazione enzimatica efficiente al fine di evitare il distacco dell’enzima dal sensore durante l’utilizzo.
Lo studio è stato condotto in collaborazione con il Dipartimento di chimica Sapienza Università di Roma, l’Università degli studi di Foggia e ricercatori degli istituti Cnr, per lo studio dei materiali nanostrutturati, di geologia ambientale e geoingegneria e di metodologie per l’analisi ambientale.
“La ionizzazione elettrospray è stata utilizzata per la deposizione, a pressione e temperatura ambiente, dell’enzima laccasi su un substrato di carbonio impiegando una chimica sostenibile”, spiega Mattea Carmen Castrovilli, giovane ricercatrice del Cnr-Ism e primo autore dello studio pubblicato sulla rivista Sustainable Chemistry and Engineering, dell’American Chemical Society. “Questo lavoro mostra come la tecnica ESD possa essere sfruttata con successo per la fabbricazione di un nuovo promettente biosensore elettrochimico amperometrico a base di laccasi ecocompatibile, con capacità di conservazione e riutilizzo che non ha eguali. Il risultato più rilevante, infatti, riguarda le grandi prestazioni in termini di riutilizzo e stoccaggio. Quest’ultimo può arrivare fino a due mesi senza particolari cure, lasciando il biosensore a pressione e temperatura ambiente ed esposto alla luce solare. Inoltre, la possibilità di riutilizzare un sensore appena realizzato per 63 volte consecutive e un sensore vecchio di un anno sottoposto a rideposizione per 20 volte consecutive, sottolinea il buon ancoraggio dell’enzima grazie alla tecnica di immobilizzazione ESD”.
Il risultato ottenuto dai ricercatori è confermato dal confronto con la più comune tecnica del drop casting che non riesce a competere in termini di stabilità nel riutilizzo. L’assenza di sostanze chimiche aggiuntive in fase di immobilizzazione e le peculiari prestazioni relative al riuso, alla stabilità nel tempo e al ricondizionamento del sensore, rendono sia il processo che il prodotto finale ecologico e sostenibile. “Questa procedura ESD può essere estesa ad altri tipi di enzimi o macromolecole bioattive. Pertanto, può trovare applicazioni interessanti e di successo nella biotecnologia e nella bioingegneria”, conclude la ricercatrice Cnr-Ism.