Uno dei misteri più affascinanti dell’astrofisica del nuovo millennio, i lampi radio veloci sono intensi impulsi di onde radio che durano poche frazioni di secondo. Scoperti per la prima volta nel 2007, sono stati osservati su tutto il cielo e la loro origine è ancora dibattuta. Tutto è cambiato però il 28 aprile 2020, quando per la prima volta un lampo radio veloce è stato osservato nella nostra galassia, la Via Lattea, e per di più in concomitanza con un altro lampo all’estremo opposto dello spettro elettromagnetico: nei raggi X. L’emissione X è stata ricevuta da diversi osservatori spaziali tra cui il satellite tutto italiano AGILE, realizzato dall’Agenzia Spaziale Italiana con il contributo dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Il lampo rivelato nei raggi X proviene da una magnetar, ovvero un remnant stellare che possiede un campo magnetico centinaia di volte più intenso di una normale stella di neutroni. Queste osservazioni rafforzano il collegamento, già proposto in passato, tra alcuni tipi di FRB e le magnetar, che è stato investigato in dettaglio in un nuovo studio pubblicato oggi sulla rivista “Nature Astronomy”, guidato da Marco Tavani, Presidente dell’INAF e principal investigator di AGILE, che ha coinvolto ricercatori impegnati presso numerose sedi INAF, l’ASI, l’INFN, l’ENEA e diverse università, sia in Italia che all’estero.
La magnetar in questione si chiama SGR1935+2154, è stata scoperta nel 2014 e ruota su sé stessa ogni 3.2 secondi. Tra il 27 e il 28 aprile 2020, il rivelatore a raggi X-duri Super-AGILE a bordo del satellite ha rivelato decine di brevi lampi nei raggi X nell’arco di sette ore. Questi impulsi, con una durata che varia da frazioni di secondo a pochi secondi, ricordano una sorta di “foresta” quando li si osserva in un grafico in sequenza temporale. Sembrava ordinaria amministrazione per una magnetar, se non fosse che uno di questi lampi, della durata di mezzo secondo, è giunto in contemporanea con un fortissimo impulso nelle onde radio, peraltro doppio e brevissimo – meno di un millesimo di secondo – registrato dal radiotelescopio canadese CHIME e da quello californiano STARE2. Un fenomeno molto simile a un FRB, appunto.
Queste osservazioni hanno mostrato per la prima volta che una magnetar può produrre lampi di raggi X in coincidenza con esplosioni radio simili a FRB, e che un FRB, se associabile a una sorgente di tipo magnetar, potrebbe emettere lampi di raggi X. In particolare, il lampo X il cui arrivo coincide temporalmente con l’impulso ricevuto anche in onde radio risulta meno intenso e caratterizzato da energie più basse rispetto alla raffica di lampi X emessi dalla stessa sorgente e osservati da AGILE il giorno precedente. L’emissione nei raggi X è stata confermata anche da altre missioni spaziali, quali INTEGRAL, Konus-Wind e Insight/HMXT. Dopo la scoperta, i ricercatori hanno continuato a osservare per diverse settimane questa sorgente con il radiotelescopio INAF della Croce del Nord a Medicina, vicino Bologna, registrando un segnale radio pulsato il 30 maggio, oltre un mese dopo l’osservazione dei lampi radio e X.
Per Francesco Verrecchia, tecnologo dell’Istituto Nazionale di Astrofisica presso l’SSDC-ASI, «questa osservazione risulta di estrema importanza perché rappresenta la prima “pistola fumante” per questo fenomeno, ovvero il primo caso di un’osservazione che possa associare un sottogruppo di queste sorgenti radio di origine ancora sconosciuta, gli FRB, con uno dei modelli fisici favoriti. Ora gli astronomi stanno lavorando per ottenere la misura opposta: l’osservazione di emissione nei raggi X da un FRB».
«Il satellite AGILE, lanciato in orbita nel mese di aprile 2007, è ancora pienamente operativo e continua a produrre ottima scienza – in collaborazione con l’INAF – nell’astrofisica delle alte energie, nello studio dei Terrestrial Gamma-ray Flashes, nella ricerca delle contro-parti elettromagnetiche delle onde gravitazionali ed anche nella ricerca e studio dei fast radio burst», dichiara il responsabile di programma ASI della missione AGILE l’ing. Fabio D’Amico.
«Questa scoperta è stata resa possibile dall’analisi attenta di tutti i rivelatori di AGILE. In particolare sono stati utilizzati i cosiddetti “ratemeters”, ossia lo studio dei conteggi raccolti nelle varie bande energetiche da parte dei vari strumenti a bordo. Questo studio permette di monitorare in modo continuativo il cielo nella banda X e nella banda gamma. Sinora sono stati utili anche per la rivelazione di Lampi di Raggi Gamma e Brillamenti Solari», spiega Francesco Longo, ricercatore della Sezione di Trieste dell’INFN.
Confrontando le osservazioni nelle due diverse bande, è stato possibile analizzare gli aspetti energetici dell’evento osservato il 28 aprile per studiare i possibili meccanismi di emissione e la geometria di questi fenomeni, anche se non è ancora stato trovato un singolo meccanismo che possa spiegare univocamente le osservazioni.
I diversi tipi di segnali registrati da AGILE indicano che le magnetar sono in grado di emettere super-impulsi radio in coincidenza con lampi X più deboli, i quali sono probabilmente prodotti da un meccanismo diverso rispetto a quello che causa l’emissione dei lampi più intensi. Questa magnetar si trova però relativamente “vicino” a noi, nella nostra galassia, il che ha reso possibile l’osservazione di entrambi i tipi di lampi X, sia quello debole che quelli più intensi. E per altre sorgenti di FRB? Per rispondere a questa domanda, il team ha passato in rassegna altri esempi di FRB non troppo distanti.
Tra essi ha destato particolare attenzione FRB 180916, sorgente scoperta nel 2018 e nota per la produzione ripetuta e periodica di lampi radio veloci, portando alla realizzazione del più ampio e accurato campione di dati sul monitoraggio nei raggi X di una sorgente di FRB, basato sulla combinazione di dati di AGILE e del Neil Gehrels Swift Observatory della NASA. Non sono ancora stati rivelati intensi lampi di raggi X da questa sorgente, ma i calcoli indicano che il segnale sarebbe ben dentro il range di sensibilità di osservatori ai raggi X quali Swift e Chandra, anch’esso della NASA. La caccia, dunque, continua.