La formazione è una leva strategica che le PMI italiane devono attivare con maggiore intensità e qualità, per essere in grado di affrontare le sfide attuali e future. Almeno il 60% delle PMI ritiene prioritaria, sia per la transizione digitale sia per quella green, la formazione per sviluppare capacità di relazione, di lavoro in gruppo, l’attitudine all’imprenditorialità, la creatività e la capacità innovativa.

“Il progetto di ricerca svolto sulla formazione nelle piccole e medie imprese italiane è frutto di un lavoro collegiale con l’obiettivo di individuare ciò che funziona e ciò che si può migliorare, soprattutto nella parte della formazione finanziata. Quest’ultima è un’importante leva per il mondo delle PMI, che devono riuscire a bilanciare il tempo lavorativo con quello dedicato alla formazione.

Dai risultati della ricerca, condotta su un campione di oltre 500 piccole e medie imprese, statisticamente rappresentativo della popolazione di PMI italiane, due sono i temi su cui l’ecosistema deve lavorare per aumentare la sensibilità delle imprese. Il primo riguarda la messa a punto di nuovi paradigmi per rendere centrale la formazione nei processi di up-skilling e di re-skilling, per migliorare la competitività delle imprese e per evitare problemi di natura sociale. Il secondo, anch’esso di natura culturale, deve avere come obiettivo di aumentare la formazione dedicata alle figure apicali e ai quadri, cruciali nel processo di trasmissione degli orientamenti strategici verso l’innovazione. Oggi, la formazione obbedisce più a esigenze legate alla quotidianità, rendendola più simile all’addestramento” dichiara Claudio Rorato, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI.

Sono alcuni risultati emersi dal progetto dedicato alla formazione all’interno dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano e presentato durante il convegno “La formazione nelle PMI italiane: percorsi, strumenti e sfide”.

Metà delle piccole e medie imprese italiane dichiara che la formazione è parte della strategia, mentre per il 31% è ritenuta importante ma non rientra tra le attività strategiche. Il restante 18% afferma che la formazione non è prioritaria oppure che è usata solamente per la parte obbligatoria. La valutazione delle competenze e l’individuazione delle necessità formative a livello previsionale interessano rispettivamente il 15% e l’11% delle PMI. Dal confronto tra la strategicità attribuita alla formazione e la valutazione delle competenze presenti e future per definire i piani formativi, nasce il sospetto che nelle PMI esista una differenza tra il pensiero e l’azione, tra teoria e pratica. E ciò è avvalorato anche dal fatto che il 37% del campione non dispone di una programmazione delle attività formative e che il 19% le programmi ogni due o tre anni.

Per migliorare le competenze interne, il 30% delle PMI non si avvale di formazione formale. Queste imprese si appoggiano esclusivamente a formazione informale, favorendo l’affiancamento a figure più esperte e la condivisione di esperienze tra il personale aziendale, oppure ricorrono solamente a formazione obbligatoria. Il restante 70% utilizza un mix tra formazione formale e informale. Il 40% delle PMI che ricorrono solamente alla formazione obbligatoria o a quella informale ritiene problematico svolgere l’attività formativa durante l’orario di lavoro, mentre il 32% lamenta la mancanza di una struttura interna dedicata alla formazione.

Il 64% delle PMI che svolgono attività formative formali ritiene che la formazione migliori la competitività dell’impresa o aiuti a trattenere i talenti. Negli ultimi due anni è prevalente la formazione su hard e soft skills, seguita da quella dedicata alla digitalizzazione e alla transizione green.

Gli impiegati e gli operai sono le figure più coinvolte in attività formative. Oltre la metà delle PMI che svolgono attività formative formali non coinvolge Dirigenti o Quadri in attività formative. Stupisce la scarsa attività formativa verso i Quadri, figura cruciale nelle imprese perché cerniera tra leadership strategica e gestione operativa. Alla stessa stregua, anche i neoassunti nel 64% dei casi non usufruiscono di formazione formale, limitando gli interventi soprattutto agli affiancamenti. Si può aprire il dibattito sulla necessità di sviluppare, invece, percorsi strutturati per i giovani e i neoassunti, rendendo così più attrattive le PMI agli occhi dei lavoratori in cerca di occupazione.

La maggior parte delle PMI che ha svolto attività formative formali ha fatto ricorso a formazione finanziata, attraverso crediti di imposta, fondi paritetici interprofessionali e bandi camerali. I tassi di utilizzo inferiori al 50% segnalano che le fonti di finanziamento per la formazione sono ancora poco conosciute e che gli enti che le promuovono devono migliorare in questa direzione.

La complessità per il monitoraggio e la rendicontazione sono la principale criticità per l’accesso alla formazione finanziata, seguite dall’esiguità dei fondi messi a disposizione e dalla complessità nelle fasi iniziali di preparazione della documentazione e candidatura.

Sono gli impiegati i principali fruitori della formazione finanziata, seguiti dagli operai, dai quadri, dai neoassunti e dai dirigenti. Solo il 17% delle PMI monitora regolarmente le competenze per valutare l’efficacia della formazione finanziata. Tutto questo, unito alla mancanza di una chiara indicazione sugli impatti della formazione finanziata, denota una consapevolezza sul tema ancora scarsa e una generale difficoltà a considerare la formazione come un elemento strategico.

“La formazione finanziata può essere un volano per lo sviluppo della competitività delle PMI, perché supporta la crescita della conoscenza a basso costo ma necessita di adeguamenti almeno nelle fasi di accesso e di progettazione dei contenuti, per coinvolgere maggiormente le fasce apicali, quelle in ingresso e quelle intermedie che fungono da collegamento tra leadership strategica e gestione operativa”, conclude Claudio Rorato.

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