Un rivelatore di radiazioni altamente scalabile a base di nanoparticelle di perovskite utile per applicazioni in settori quali energia, spazio e diagnostica medica e capace di interagire con la radiazione ad alta energia in modo efficiente e duraturo ma anche di resistere agli elevatissimi livelli di radioattività presenti all’interno dei reattori nucleari e dei grandi acceleratori di particelle. È il nuovo risultato della collaborazione tra ENEA, Università di Milano-Bicocca, Istituto dei Materiali per l’Elettronica e il Magnetismo del Cnr e Università Jiao Tong di Shanghai.

Frutto dello sforzo congiunto dei gruppi di ricerca del dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano-Bicocca guidati da Sergio Brovelli e Anna Vedda, il lavoro è stato pubblicato su “Nature Photonics” con il titolo “Extreme γ-ray radiation hardness and high scintillation yield in perovskite nanocrystals”.

La rivelazione di radiazione ionizzante, come i raggi X, raggi gamma o di particelle elementari come i neutroni, è di fondamentale importanza in un gran numero di applicazioni tecnologiche e scientifiche, che vanno dalla sicurezza nazionale e industriale, alla fisica delle alte energie e al controllo delle centrali nucleari, dall’esplorazione spaziale fino alla diagnostica medica per immagini, in cui questo tipo di radiazioni sono alla base di esami diagnostici come TAC e PET.

Nell’ambito delle attività relative ai test con radiazioni gamma, ENEA ha messo in campo la facility Calliope del suo Centro Ricerche Casaccia. Unica in Europa nel campo della qualifica e dello studio della resistenza a radiazioni di materiali, componenti e sistemi biologici per ambienti ostili, Calliope ha consentito di condurre test fino a dosi assorbite estremamente elevate, con un controllo dosimetrico molto accurato. Utile per numerose applicazioni nei settori spazio, energia, fisica delle alte energie e beni culturali, la facility è tra le eccellenze del programma ASIF e di AIDA 2020, l’infrastruttura avanzata europea del CERN dedicata a rivelatori e acceleratori.

Per queste tecnologie, sono necessari rivelatori di radiazioni facilmente scalabili su grandi volumi a basso costo, efficienti e stabili nel tempo anche in condizioni di elevata radioattività. Pensiamo ad esempio ai grandi acceleratori di particelle, dove i livelli di radiazione sono talmente elevati che gli esseri umani non possono accedervi. La capacità di mantenere alta efficienza di rivelazione in condizioni così proibitive è alla base della durata operativa degli esperimenti che hanno portato a scoperte sensazionali sull’origine dell’Universo. Lo stesso vale nelle sonde per l’esplorazione spaziale profonda e per lo sviluppo di reattori nucleari di nuova generazione che richiedono monitoraggio costante ed accurato in ambienti con livelli di radioattività ostili.

Gli scintillatori sono materiali che emettono luce a seguito dell’interazione con raggi X, raggi gamma o altre particelle. Perché uno scintillatore soddisfi le caratteristiche di efficienza, resistenza e scalabilità richieste da questi ambiti tecnologici, è necessario che il materiale attivo sia composto da elementi pesanti che hanno grande probabilità di interagire con la radiazione, come il piombo, e che sia utilizzabile per lungo tempo al massimo della sua efficienza. Queste caratteristiche sono molto difficili da realizzare con gli scintillatori commerciali a base di cristalli monolitici massivi.

Gli scintillatori a base di materiali nanotecnologici innovativi offrono la possibilità di raggiungere questi traguardi e rappresentano l’ultima frontiera della rivelazione di radiazione ionizzante.

Tra questi, le perovskiti ad alogenuri di piombo sono candidati ideali per la rivelazione di radiazioni. Tuttavia, fino ad ora, il loro potenziale era fortemente limitato dal timore che le radiazioni ad alta energia ne danneggiassero la caratteristica struttura “morbida”.

Fondandosi sulle conoscenze trasversali presenti nel dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano-Bicocca, gli scienziati hanno dimostrato che le nanoparticelle di perovskite ad alogenuri di piombo mantengono la loro efficienza di scintillazione in condizioni estreme, paragonabili ai livelli di radiazione accumulati in un intero anno dalle pareti interne di un reattore nucleare o all’interno di Large Hadron Collider del CERN di Ginevra. Questa scoperta apre le porte alle nanotecnologie per lo sviluppo di rivelatori ad alte prestazioni per studi di frontiera nella fisica nucleare e per applicazioni in contesti inaccessibili con approcci tradizionali.

“Le nanoparticelle di perovskite sono materiali molto promettenti per la rivelazione di radiazione ionizzante, in quanto presentano la giusta composizione chimica, elevata efficienza di scintillazione e la possibilità di essere prodotte in grande quantità, a basso costo e con proprietà mirate; aspetti non realizzabili con i comuni scintillatori cristallini”, spiega Sergio Brovelli, professore ordinario di Fisica sperimentale di Bicocca.

Tuttavia, fino ad oggi non si sapeva nulla sulla resistenza di questi materiali a livelli di radiazione elevati né erano state individuate strategie per la loro ottimizzazione.

“Per prima cosa, insieme ai nostri partner di Shanghai, abbiamo messo a punto delle strategie chimiche che permettono di realizzare scintillatori con efficienze confrontabili con materiali commerciali”, continua Matteo Zaffalon, ricercatore del dipartimento di Scienza dei Materiali.

“Grazie ai colleghi di ENEA e Cnr, abbiamo studiato le nanoparticelle prima e dopo l’esposizione a elevate dosi di radiazione e, non senza sorpresa, abbiamo riscontrato il perfetto mantenimento delle loro proprietà ottiche e strutturali”, prosegue Francesca Cova, ricercatrice co-autore dello studio.

“Al momento sono in fase di studio nanoscintillatori a base di questi materiali per gli esperimenti di fisica delle alte energie del CERN di Ginevra e per applicazioni radiometriche in ambienti ostili”, conclude Anna Vedda, direttore del dipartimento di Scienza dei materiali di Milano-Bicocca.

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