Negli ultimi decenni, l’aumento delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici ha influenzato negativamente la produttività e continuerà a danneggiarla, potenzialmente in misura maggiore di quanto stimato finora. In Sudafrica, il PIL pro-capite arriverà ad essere fino al 20% inferiore in uno scenario futuro caratterizzato da gravi cambiamenti climatici rispetto a quanto avverrebbe in uno scenario idealizzato, senza gli impatti del clima che cambia.
È quanto emerge dallo studio “Climate change and development in South Africa: the impact of rising temperatures on economic productivity and labour availability”, coordinato dalla Fondazione CMCC e da RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment e condotto in collaborazione con l’Athens University of Economics and Business, recentemente pubblicato sulla rivista “Climate and Development”.
In una prima fase dello studio, attraverso l’analisi di dati empirici, i ricercatori hanno analizzato come le variazioni di temperatura determinate dai cambiamenti climatici abbiano influenzato in passato l’offerta di lavoro – ovvero il numero di ore che un individuo è disposto a lavorare per un determinato salario – in Sudafrica. Utilizzando i dati di un’indagine longitudinale che ha interessato le famiglie sudafricane tra il 2008 e il 2015, è stato possibile ottenere informazioni chiave sulla relazione tra le temperature massime settimanali e le ore lavorate nelle settimane corrispondenti.
Dai risultati emerge come i fattori di stress climatico abbiano impatti differenziati sui lavoratori di diversi settori. L’aumento delle temperature riduce infatti l’offerta di lavoro nelle industrie all’aperto e nei settori con elevata esposizione al calore, come l’agricoltura, l’edilizia, la pesca e l’estrazione mineraria: la cosiddetta “manodopera scarsamente qualificata”. Dall’altra parte, i lavoratori di settori come quello manifatturiero, o impiegati in lavori d’ufficio, sono meno colpiti dall’aumento delle temperature poiché svolgono le loro attività all’interno.
“Ci siamo chiesti se i cambiamenti di temperatura influiscano in media sull’ammontare di ore lavorative settimanali di un individuo e se chi lavora in ambienti chiusi abbia un vantaggio climatico”, spiega il Dr. Shouro Dasgupta, ricercatore presso la Fondazione CMCC e EIEE, coautore dello studio. “I risultati ce lo confermano: inizialmente, la disponibilità di manodopera aumenta con la temperatura, fino a raggiungere il suo picco. Dopodiché, con l’aumentare della temperatura, l’offerta di lavoro diminuisce. La temperatura massima ottimale che massimizza l’offerta di manodopera settimanale è di 26,2 °C per la manodopera scarsamente qualificata e di 28,2 °C per quella altamente qualificata: chi lavora all’interno può lavorare finché la temperatura raggiunge livelli un po’ più alti, perché è meno esposto al calore”.
In una seconda fase dello studio, i ricercatori hanno utilizzato questi dati empirici per indagare il futuro attraverso un modello a generazioni sovrapposte, chiedendosi in che misura il riscaldamento previsto influenzerà la produttività in Sudafrica nei prossimi decenni. “In letteratura, troviamo due approcci di ricerca che sono nettamente separati l’uno dall’altro” afferma il Dr. Soheil Shayegh, ricercatore presso la Fondazione CMCC e EIEE, primo autore dell’articolo. “Un primo approccio si basa su dati empirici e costruisce relazioni statistiche tra indicatori, basandosi su tali dati. Questo è l’approccio che abbiamo utilizzato nella prima fase della nostra ricerca, basandoci sui dati di indagini del passato per stabilire relazioni statistiche tra temperatura e offerta di lavoro. L’altro approccio utilizza modelli a generazioni sovrapposte, ovvero modelli matematici capaci di prevedere il futuro delle nostre economie. Solitamente, questi modelli non si basano su dati previsionali, ma su ipotesi relative alle scelte e ai comportamenti futuri dei decisori. In questa ricerca invece, unendo le due metodologie e partendo dai dati dell’indagine, siamo stati in grado di rispondere a una serie di complesse domande sugli impatti dei cambiamenti climatici sul mercato del lavoro che sono interessanti non solo per il Sudafrica, ma probabilmente per ogni paese” spiega Shayegh.
Variazioni nell’offerta di lavoro hanno un effetto a catena su altre parti dell’economia, dai salari alla produttività, spiegano i ricercatori. Il modello suggerisce che, entro la fine del secolo, il divario salariale tra la manodopera altamente qualificata e quella scarsamente qualificata si ridurrà, poichè quest’ultima riceverà salari relativamente più alti: con l’aumento delle temperature diminuirà infatti l’offerta di manodopera scarsamente qualificata rispetto a quella altamente qualificata, e la scarsità della prima ne farà alzare il salario.
“Il divario salariale si sta riducendo perché i salari dei lavoratori poco qualificati stanno migliorando, e questa è una buona notizia. Ma se facciamo un passo indietro e guardiamo al quadro più ampio, all’intera economia, sta accadendo qualcos’altro” spiega Shayegh. “Vediamo infatti che i danni economici sono molto maggiori. I cambiamenti climatici non stanno solo impattando sull’offerta di lavoro: stanno anche danneggiando la produttività di tutti i settori”.
In sintesi, l’aumento della domanda di manodopera poco qualificata, combinata alla riduzione della produttività economica dovuta ai cambiamenti climatici, riduce il divario salariale tra manodopera altamente qualificata e scarsamente qualificata, ma riduce la produttività complessiva. Lo studio evidenzia che in uno scenario senza azioni per il clima, in cui dovremo affrontare i più severi impatti del cambiamento, il PIL pro-capite diminuirà di circa il 20% a fine secolo, rispetto allo scenario di riferimento senza cambiamenti climatici.
“È importante notare che abbiamo considerato solo gli impatti del cambiamenti climatici legati al graduale aumento delle temperature medie e massime, senza considerare altri fattori come precipitazioni, innalzamento del livello del mare, o shock climatici come inondazioni o siccità” specifica Dasgupta. “Riteniamo pertanto di aver fornito una stima conservativa dei danni dei cambiamenti climatici sulla produttività e sul benessere nel caso in cui non si intraprendessero azioni per mitigarli”.