Sono passati ormai più di tre anni e mezzo da quando, il 30 settembre 2016, la Sonda Rosetta inviò le ultime immagini del nucleo bilobato della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko ed ancora i dati di questa missione forniscono informazioni in grado di stupire. La prestigiosa rivista scientifica internazionale «PNAS» – Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America – ha recentemente pubblicato l’articolo, firmato da Marco Franceschi, ricercatore in servizio presso il Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università di Trieste e da un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova, dal titolo “Global-scale brittle plastic rheology at the cometesimals merging of comet 67P/Churyumov-Gerasimenko”, in cui si descrive uno studio basato sull’analisi 3D che ha esplorato le proprietà meccaniche dei materiali che costituiscono le comete. Poco dopo che Rosetta entrò in orbita attorno alla cometa, avvenuta il 6 agosto del 2014, fu fatta la sorprendente scoperta che una fitta stratificazione avvolgeva in maniera indipendente i due lobi. Venne così provato che si trattava di due cometesimi indipendenti unitisi tra loro a seguito di una collisione gentile che diede origine al peculiare configurazione bilobata del nucleo cometario. Il nuovo studio pubblicato su «PNAS» si basa sulla dettagliata ricostruzione tridimensionale di questi strati portata a termine da Marco Franceschi che con i ricercatori dell’Università di Padova e altri scienziati italiani e stranieri dal 2014 forma uno dei team di riferimento per lo studio di superfici cometarie e l’analisi delle immagini della sonda Rosetta. La ricostruzione tridimensionale della stratificazione ha permesso ora di riconoscere deformazioni che non erano state precedentemente individuate e che raccontano come il materiale di cui sono fatti i cometesimi possa comportarsi a seguito di una collisione. «Il modello 3D – spiega Marco Franceschi – ricostruisce la struttura stratificata dei due lobi e rivela che la giunzione dei due lobi provocò delle deformazioni non collocate in maniera casuale. La loro posizione e le loro tipologia ci indicano che all’impatto i due corpi subirono una compressione assiale accompagnata da una espansione radiale. Si tratta di un comportamento inatteso del materiale cometario». «L’analisi – aggiunge Luca Penasa dell’Università di Padova, esperto in modellazione 3D – suggerisce inoltre che anche le grandi fratture che solcano la superficie potrebbero essere state provocate dall’impatto causando il distacco di ampie porzioni della cometa». «Questo tipo di comportamento da parte di oggetti considerati per lo più formati da aggregati molto soffici è sorprendente – afferma Matteo Massironi, tra i primi a provare la presenza di una struttura interna stratificata dei nuclei cometari, e ora coordinatore del progetto Europeo PLANMAP guidato dall’Università di Padova e dedicato alle ricostruzioni 3D di corpi planetari -. Ci si sarebbe aspettati – continua Massironi – che l’impatto potesse provocare una forte compattazione. Invece, la deformazione dovuta all’urto si è tradotta in una compressione e una espansione laterale avvenute senza provocare variazioni di densità interna. Questo richiede una rigidità che è del tutto inaspettata per materiali che possono avere porosità del 75%». Per spiegare questo comportamento il gruppo di ricercatori ipotizza un’azione legante svolta dal ghiaccio e dai composti organici che, tra i costituenti del materiale cometario, sono quelli in grado di spiegare le deformazioni osservate. «Questi risultati mettono in discussione molte delle ipotesi fino ad ora avanzate circa le caratteristiche meccaniche dei nuclei cometari – conclude Giampiero Naletto, coordinatore del team Rosetta-OSIRIS dell’Università di Padova che ha costruito parte della strumentazione a bordo di Rosetta – e gettano nuova luce sulla natura dei cometesimi, che sono tra i “mattoni” primordiali che hanno contribuito a formare il sistema solare, aprendo la strada a nuovi scenari nella comprensione dei processi di formazione delle comete».

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